"Gravity" di Alfonso Cuarón. Con Sandra Bullock, George Clooney. USA, GB 2013 ★★★-
Presentato come una sorta di capolavoro del genere fantascientifico-umanista, questo film ha due indubbi meriti: la spettacolarità visiva, perché le immagini della Terra a 600 chilometri di distanza elaborate con maestria attraverso la computer-grafica sono di grandissimo impatto e di per sé stesse emotivamente coinvolgenti, e il fatto di non indulgere alla visione tipicamente yankee dello spazio come un'immenso Far West palestra per le bravate dell'homo americanus e la costruzione del suo mito (di cartapesta). Il plot è semplice e adusato: la dottoressa Ryan Stone è alla prima missione su una stazione orbitante, alle prese con una serie di riparazioni assieme all'esperto tenente pilota Matt Kowalski e a un tecnico asiatico, quando un uragano di detriti si abbatte sulla stazione, uccide il terzo e i due protagonisti, interpretati da Sandra Bullock e George Clooney, rimangono isolati nello spazio, senza collegamenti con Houston, con carenza di carburante e ossigeno, cercando in ogni modo di rientrare alla base. In questa situazione da Can You Hear Me, Major Tom, il navigato e filosofico Matt Kowalski, un Clooney se possibile più gigione del solito ma sempre simpatico e umano, costantemente celato sotto al casco tranne in un'occasione quando apparirà come fantasma nella mente annebbiata di Stone aspirante suicida, cerca di infondere calma e coraggio alla scienziata, sempre sull'orlo di una crisi di panico e in preda a strazianti ricordi del passato (una figlia persa quando aveva quattro anni per un tragico quanto stupido incidente), tanto da darle la forza di resistere anche quando lui si sacrifica sganciandosi e decidendo di andare alla deriva nel vuoto perché è l'unica speranza perché uno dei due, ossia lei, si salvi; e poi, da fantasma appunto, quando lei sarà sul punto di rassegnarsi e di farla finita. E naturalmente lei si salverà, balzando da una Soyuz russa a un'altra stazione orbitante questa volta cinese, in una serie di sequenze mozzafiato quanto improbabili ma di grande efficacia, dalla quale si disancorerà per rientrare sulla Terra a bordo di una capsula lì lì per incendiarsi che finirà provvidenzialmente paracadutata in un lago. L'aspetto stupefacente è che una star come Clooney si presti a fare da spalla alla vera protagonista, la Bullock, una delle attrici più insulse della scena mondiale e che si conferma tale, immancabilmente, anche in questa occasione, scelta con ogni probabilità perché è l'immagine vivente del perdente senza talento, che in questo caso trova miracolosamente in sé stesso la forza di non lasciarsi andare e lottare per la sopravvivenza. Come si vede, l'americanata è sempre in agguato, a cominciare dai dialoghi ruffiani e finto-dislnvolti conditi da umorismo in salsa texana, ma dal punto di vista dell'intrattenimento e della tensione la pellicola regge, con il pregio di non menare il torrone per più di un'ora e mezzo. Insomma, 2001 Odissea nello spazio o Solaris, per restare in tema di distanze siderali, rimangono distanti anni luce.
Presentato come una sorta di capolavoro del genere fantascientifico-umanista, questo film ha due indubbi meriti: la spettacolarità visiva, perché le immagini della Terra a 600 chilometri di distanza elaborate con maestria attraverso la computer-grafica sono di grandissimo impatto e di per sé stesse emotivamente coinvolgenti, e il fatto di non indulgere alla visione tipicamente yankee dello spazio come un'immenso Far West palestra per le bravate dell'homo americanus e la costruzione del suo mito (di cartapesta). Il plot è semplice e adusato: la dottoressa Ryan Stone è alla prima missione su una stazione orbitante, alle prese con una serie di riparazioni assieme all'esperto tenente pilota Matt Kowalski e a un tecnico asiatico, quando un uragano di detriti si abbatte sulla stazione, uccide il terzo e i due protagonisti, interpretati da Sandra Bullock e George Clooney, rimangono isolati nello spazio, senza collegamenti con Houston, con carenza di carburante e ossigeno, cercando in ogni modo di rientrare alla base. In questa situazione da Can You Hear Me, Major Tom, il navigato e filosofico Matt Kowalski, un Clooney se possibile più gigione del solito ma sempre simpatico e umano, costantemente celato sotto al casco tranne in un'occasione quando apparirà come fantasma nella mente annebbiata di Stone aspirante suicida, cerca di infondere calma e coraggio alla scienziata, sempre sull'orlo di una crisi di panico e in preda a strazianti ricordi del passato (una figlia persa quando aveva quattro anni per un tragico quanto stupido incidente), tanto da darle la forza di resistere anche quando lui si sacrifica sganciandosi e decidendo di andare alla deriva nel vuoto perché è l'unica speranza perché uno dei due, ossia lei, si salvi; e poi, da fantasma appunto, quando lei sarà sul punto di rassegnarsi e di farla finita. E naturalmente lei si salverà, balzando da una Soyuz russa a un'altra stazione orbitante questa volta cinese, in una serie di sequenze mozzafiato quanto improbabili ma di grande efficacia, dalla quale si disancorerà per rientrare sulla Terra a bordo di una capsula lì lì per incendiarsi che finirà provvidenzialmente paracadutata in un lago. L'aspetto stupefacente è che una star come Clooney si presti a fare da spalla alla vera protagonista, la Bullock, una delle attrici più insulse della scena mondiale e che si conferma tale, immancabilmente, anche in questa occasione, scelta con ogni probabilità perché è l'immagine vivente del perdente senza talento, che in questo caso trova miracolosamente in sé stesso la forza di non lasciarsi andare e lottare per la sopravvivenza. Come si vede, l'americanata è sempre in agguato, a cominciare dai dialoghi ruffiani e finto-dislnvolti conditi da umorismo in salsa texana, ma dal punto di vista dell'intrattenimento e della tensione la pellicola regge, con il pregio di non menare il torrone per più di un'ora e mezzo. Insomma, 2001 Odissea nello spazio o Solaris, per restare in tema di distanze siderali, rimangono distanti anni luce.
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