"Gloria" di Sebastián Lelio. Con Paulina García, Sergio Hernández, Marcial Tagle, Fabiola Zamora, Diego Fontecilla, Antonia Santa Maria. Cile, Spagna 2013 ★★★⅓
Un buon film, ben girato e interpretato splendidamente da Paulina García, peraltro ottimamente coadiuvata da Sergio Hernández: una cinquantottenne separata da tempo, con due figli ormai grandi e indipendenti che, ancora piena di energie, frequentando feste e discoteche per single, è alla ricerca di un nuovo amore. E lo trova in Rodrigo, un coetaneo, come lei separato ma da poco, di fatto ancora intrappolato in un rapporto di dipendenza dalla moglie e dalle due figlie che ancora vivono con lei: nonostante la forte attrazione anche sessuale tra Gloria e Rodolfo, sarà la sua meschinità e dipendenza biunivoca a far saltare il loro rapporto proprio in un'età in cui potrebbero, e dovrebbero, sentirsi finalmente liberi da qualsiasi "dovere" sociale. E' anche un film molto cileno: descrive con rara efficacia una borghesia che non ha mai voluto mostrarsi molto, né al cinema né altrove, avendo parecchi scheletri nell'armadio da nascondere per essere vissuta e prosperata all'ombra del regime di Pinochet: Rodrigo stesso è un ex militare (della Marina, però, tiene a precisare, come se fosse una scusante), e nonostante la sua timidezza e i suoi modi da gentleman impacciato ha finito per occuparsi di un parco di divertimento per adulti dove si gioca alla guerra simulata. Mai si parla apertamente di politica e meno che mai del proprio coinvolgimento e dei propri silenzi in una dicta-dura che non sembra mai veramente trascorsa, in questo ambiente: e nel film viene magistralmente rappresentata, non so quanto consapevolmente, proprio questa fascia di società imbalsamata, perbenista, ipocrita, autocensurata che ha da sempre, e sempre di più, in mano le ricchezze e le leve di un Paese dai contrasti sociali fortissimi: laboratorio negli anni Settanta e Ottanta per le teorie monetariste dei "Chicago Boys", il Cile è da tempo all'avanguardia nel liberismo più sfrenato. La Santiago che si vede nei film è quella benestante dei quartieri alti (anche in senso non figurato) e settentrionali; non vi è un accenno a quelli sud-occidentali, non si vedono quasi facce meticce e meno che mai indigene (così come nei film di newyorkesi di Woody Allen non c'è verso di vedere un nero): è un mondo ibernato, dove la comunicazione interpersonale è improntata al formalismo più rigido e alla frigidità, e dove un personaggio come Gloria, pur borghese fino al midollo, diviene un elemento di vitalità. Merito del film, oltre a farci conoscere una grande attrice, è però soprattutto quello di affrontare con grazia ma senza ipocrisie un tema come l'amore e il sesso a sessant'anni, ricordando che non è con l'avanzare dell'età che per forza devono diminuire i sogni e la voglia di vivere, e offrire un ritratto a tutto tondo, nelle sue mille sfaccettature, di una "giovane" donna di mezza età, grazie a una recitazione calibrata alla perfezione e attenta a ogni sfumatura di una attrice davvero speciale.
Un buon film, ben girato e interpretato splendidamente da Paulina García, peraltro ottimamente coadiuvata da Sergio Hernández: una cinquantottenne separata da tempo, con due figli ormai grandi e indipendenti che, ancora piena di energie, frequentando feste e discoteche per single, è alla ricerca di un nuovo amore. E lo trova in Rodrigo, un coetaneo, come lei separato ma da poco, di fatto ancora intrappolato in un rapporto di dipendenza dalla moglie e dalle due figlie che ancora vivono con lei: nonostante la forte attrazione anche sessuale tra Gloria e Rodolfo, sarà la sua meschinità e dipendenza biunivoca a far saltare il loro rapporto proprio in un'età in cui potrebbero, e dovrebbero, sentirsi finalmente liberi da qualsiasi "dovere" sociale. E' anche un film molto cileno: descrive con rara efficacia una borghesia che non ha mai voluto mostrarsi molto, né al cinema né altrove, avendo parecchi scheletri nell'armadio da nascondere per essere vissuta e prosperata all'ombra del regime di Pinochet: Rodrigo stesso è un ex militare (della Marina, però, tiene a precisare, come se fosse una scusante), e nonostante la sua timidezza e i suoi modi da gentleman impacciato ha finito per occuparsi di un parco di divertimento per adulti dove si gioca alla guerra simulata. Mai si parla apertamente di politica e meno che mai del proprio coinvolgimento e dei propri silenzi in una dicta-dura che non sembra mai veramente trascorsa, in questo ambiente: e nel film viene magistralmente rappresentata, non so quanto consapevolmente, proprio questa fascia di società imbalsamata, perbenista, ipocrita, autocensurata che ha da sempre, e sempre di più, in mano le ricchezze e le leve di un Paese dai contrasti sociali fortissimi: laboratorio negli anni Settanta e Ottanta per le teorie monetariste dei "Chicago Boys", il Cile è da tempo all'avanguardia nel liberismo più sfrenato. La Santiago che si vede nei film è quella benestante dei quartieri alti (anche in senso non figurato) e settentrionali; non vi è un accenno a quelli sud-occidentali, non si vedono quasi facce meticce e meno che mai indigene (così come nei film di newyorkesi di Woody Allen non c'è verso di vedere un nero): è un mondo ibernato, dove la comunicazione interpersonale è improntata al formalismo più rigido e alla frigidità, e dove un personaggio come Gloria, pur borghese fino al midollo, diviene un elemento di vitalità. Merito del film, oltre a farci conoscere una grande attrice, è però soprattutto quello di affrontare con grazia ma senza ipocrisie un tema come l'amore e il sesso a sessant'anni, ricordando che non è con l'avanzare dell'età che per forza devono diminuire i sogni e la voglia di vivere, e offrire un ritratto a tutto tondo, nelle sue mille sfaccettature, di una "giovane" donna di mezza età, grazie a una recitazione calibrata alla perfezione e attenta a ogni sfumatura di una attrice davvero speciale.
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