Ora: io posso anche capire l'incazzatura dei cittadini albanesi (sic) per i funerali di Erich Priebke che avrebbero dovuto tenersi martedì nella loro città, ma non giustifico e anzi mi procura un senso di disagio e fastidio il comportamento del manipolo di pasionari che, come colti da raptus, si sono accaniti contro il carro funebre che trasportava il feretro assalendolo a calci e pugni, invece di sfogare la loro rabbia contro il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, che prima aveva autorizzato la cerimonia funebre nel monastero di San Pio X, presidio dei seguaci di Lefebvre, per poi revocare il permesso (è lo stesso alto funzionario responsabile delle manganellate al corteo degli studenti del 14 dicembre 2010 a Roma e dei successivi incidenti nonché del recente affaire Shalabayeva; era stato lui a firmare il decreto d'espulsione per la moglie e la figlia del dissidente kazako; e a un personaggio simile è affidato l'ordine pubblico nella capitale in vista delle manifestazioni di domani e, soprattutto, sabato: quindi non ci si stupisca di quanto potrà accadere). Insomma, se la sono presa con un un morto invece che con un vivo, colui che ha creato l'imbarazzante situazione. Un gesto non propriamente eroico e una protesta sterile, oltre che grottesca e francamente ripugnante. Sarebbe stato più comprensibile cercare di malmenare l'immancabile gruppo di neonazi e nostalgici di varia ispirazione che considerano Priebke un eroe, prontamente radunatisi in occasione delle esequie e immancabilmente protetti con solerzia dalle cosiddette forze dell'ordine, e perfino se qualche sempiterno resistente, magari parente di una delle 335 vittime delle Fosse Ardeatine (10 per ogni tedesco ucciso nell'attentato di via Rasella), avesse affrontato l'ex capitano delle SS durante una delle sue passeggiate alla Balduina, dove era agli arresti domiciliari, facendosi giustizia da sé. Invece è stato mantenuto in vita, a nostre spese, dal rientro in Italia nel 1995 fino alla morte avvenuta qualche giorno fa, a cento anni suonati: avrei preferito che qualcuno gliel'avesse fatta pagare prima, tanto per chiarire quanto non abbia alcuna pena né comprensione per questo nazista mai pentito e anzi ostinato e orgoglioso di esserlo. A prescindere dal fatto che responsabile principale dell'eccidio delle Fosse Ardeatine fu Herbert Kappler, in quanto comandante della Gestapo a Roma dall'inizio del 1944 (e che se Priebke si fosse opposto ai suoi ordini sarebbe stato giustiziato dai suoi stessi camerati), ci si dimentica che si era in guerra e che, per quanto crimine contro l'umanità (e, appunto, di guerra, ma sanzionato "a posteriori"), la rappresaglia è praticata anche oggi, impunemente, pure e soprattutto da chi dei diritti dell'umanità si autoproclama paladino, persino in situazioni di belligeranza non dichiarata. Non concordo con tutto quanto scrive Fulvio Grimaldi nel suo post su "Mondocane", ma i fatti a cui si riferisce non sono inventati né le cifre indicate iperboliche: "Crimine di guerra e contro l’umanità, quello di Priebke, da valutare in rapporto al progresso della civiltà e dei diritti umani nell’era democratica post-nazista, che ha visto i presidenti della più grande democrazia del mondo, Bush e Obama, ammazzare, a occhio e croce, 1000 civili per ogni cittadino Usa polverizzato nell’operazione attribuita a nemici islamici dell’11 settembre 2001. Clamori portati al diapason dal solista del coro, Pacifici, presidente della comunità ebraica, che, con logica coerente, serba il più stretto riserbo sui 3000 e passa palestinesi, donne, bambini, anziani, fatti massacrare a Sabra e Shatila dal comandante Ariel Sharon. E poco gli interessa il rapporto tra 1.450 palestinesi uccisi a Gaza da Piombo Fuso, in parte bruciati vivi dal fosforo bianco, e i 15 israeliani colpiti dai razzi della Resistenza, occasione nella quale si è passati dall’orrenda decimazione nazista, all’equilibrata centimazione dell’ 'unica democrazia del Medio Oriente'". Ma anche su questi particolari si sorvola allegramente. Inevitabile la consueta figura di merda a livello internazionale, con uno Stato incapace perfino di gestire un cadavere se non in maniera incongrua e ridicola, mentre probabilmente sarebbe stato sufficiente cremare la salma, consentire una cerimonia privata ai famigliari più stretti e, in mancanza, consegnare le ceneri all'ambasciata tedesca e che si arrangiassero i diplomatici della cancelliera Merkel e il suo governo. Ma siccome siamo in Italia, ci si mettono anche gli orfani della Resistenza (sentire il sindaco Marino abbandonarsi alla retorica di "Roma città antinazifascista", e questo dopo un quinquennio alemanniano-rautiano al Campidoglio, è quantomeno incongruo) col risultato, paradossale, di mantenere in vita il ricordo di Priebke e di un mondo ormai morto e sepolto, senza riuscire a vederne gli eredi che sotto mentite spoglie, vivi e vegeti, sono costantemente e tenacemente all'opera in quello attuale.
Perfetta concidenza di riflessioni (o quasi), sull'inutile e barbara rabbia sull'occupante morto, mentre da 70 anni serviamo supini le vessazioni culturali, economiche, guerrafondaie del vivo.
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