"La prima neve" di Andrea Segre. Con Jean Christophe Fully, Matteo Marchel, Anita Caprioli, Peter Mitterrutzner, Giuseppe Battiston, Paolo Pierobon, Sadia Afzai. Italia 2013 ★★★★
Si conferma in questo suo secondo lavoro di fiction, dopo Io sono Li, il bravo documentarista veneziano Andrea Segre, affrontando con la consueta sensibilità e attenzione i temi dell'immigrazione e della perdita, collocandoli, con molta precisione e armoniosamente, in un ambiente umano e naturale particolare e suggestivo. Nel film precedente si trattava della comunità di pescatori di Chioggia e l'habitat circostante era la Laguna veneta, qui la Valle dei Mocheni con i suoi boschi dai colori struggenti, che si imbocca da Pergine Valsugana in Trentino, abitata fin dal Medioevo da una popolazione proveniente dalla Baviera e che ha conservato il proprio patrimonio linguistico. E' qui che finisce Dani, proveniente dall'inquieto e malsicuro Togo, da cui è fuggito per lavorare in Libia, che ha a sua volta abbandonato su un barcone in seguito al caos seguito alla caduta di Gheddafi: vi è giunto assieme alla figlia ancora in fasce, con la quale ha un rapporto estremamente perturbato perché gli ricorda troppo l'amatissima moglie Layla, morta di parto in seguito alle vicissitudini del viaggio per mare, e della cui scomparsa in fondo attribuisce la colpa alla bimba. Vittima di sensi di colpa e solitudine, riesce tuttavia a integrarsi nella comunità locale, lavorando presso un anziano e saggio falegname e apicultore (lui stesso era un intagliatore di legno) ed entrando in confidenza con il nipote di lui, Michele, un ragazzino di circa dieci anni, segnato anche lui dalla perdita improvvisa del padre, vittima di un incidente di montagna, di cui non riesce a darsi pace dandone la responsabilità alla giovane madre, la brava Anita Caprioli. Chiusi entrambi nel loro dolore che non riescono ad esprimere con gli altri, entrano man mano in confidenza durante lunghe escursioni nei magnifici boschi della zona, e si crea un rapporto di totale fiducia tra loro: Dani, che attendeva soltanto che gli rilasciassero il permesso di soggiorno che gli permettesse di raggiungere la meta che si era prefisso, Parigi, da solo, lasciando che la figlioletta fosse adottata da una famiglia italiana, perché consapevole di avere con lei un rapporto turbato dal ricordo e nella speranza che possa avere un futuro migliore, finisce per rivedere i suoi propositi, rendendosi conto, come gli diceva il vecchio apicoltore, che "le cose che hanno lo stesso odore si appartengono", nonostante tutto. Non è il classico e melenso happy-end ma lo sbocco di un percorso sofferto che ha luogo dopo il confronto con Michele e l'accoglienza da parte di una comunità che lo accetta senza le sfumature razziste che avevano accompagnato le vicende della cinese Li nel film precedente di Segre. Che non si ripete, nonostante le analogie tra i due film, perché racconta le due vicende, che sono sì d'immigrazione ma anche e soprattutto di persone, sotto un'angolatura diversa. Fa il bis, però, in quanto a credibilità e bravura: un film poetico, profondamente umano, calibrato al punto giusto e mai melenso; d'attualità, per i valori che esprime raccontando una storia e facendo parlare i personaggi (tutti bravissimi gli interpreti) a prescindere dalle tristi vicende dei naufragi di disperati di questi tempi.
Si conferma in questo suo secondo lavoro di fiction, dopo Io sono Li, il bravo documentarista veneziano Andrea Segre, affrontando con la consueta sensibilità e attenzione i temi dell'immigrazione e della perdita, collocandoli, con molta precisione e armoniosamente, in un ambiente umano e naturale particolare e suggestivo. Nel film precedente si trattava della comunità di pescatori di Chioggia e l'habitat circostante era la Laguna veneta, qui la Valle dei Mocheni con i suoi boschi dai colori struggenti, che si imbocca da Pergine Valsugana in Trentino, abitata fin dal Medioevo da una popolazione proveniente dalla Baviera e che ha conservato il proprio patrimonio linguistico. E' qui che finisce Dani, proveniente dall'inquieto e malsicuro Togo, da cui è fuggito per lavorare in Libia, che ha a sua volta abbandonato su un barcone in seguito al caos seguito alla caduta di Gheddafi: vi è giunto assieme alla figlia ancora in fasce, con la quale ha un rapporto estremamente perturbato perché gli ricorda troppo l'amatissima moglie Layla, morta di parto in seguito alle vicissitudini del viaggio per mare, e della cui scomparsa in fondo attribuisce la colpa alla bimba. Vittima di sensi di colpa e solitudine, riesce tuttavia a integrarsi nella comunità locale, lavorando presso un anziano e saggio falegname e apicultore (lui stesso era un intagliatore di legno) ed entrando in confidenza con il nipote di lui, Michele, un ragazzino di circa dieci anni, segnato anche lui dalla perdita improvvisa del padre, vittima di un incidente di montagna, di cui non riesce a darsi pace dandone la responsabilità alla giovane madre, la brava Anita Caprioli. Chiusi entrambi nel loro dolore che non riescono ad esprimere con gli altri, entrano man mano in confidenza durante lunghe escursioni nei magnifici boschi della zona, e si crea un rapporto di totale fiducia tra loro: Dani, che attendeva soltanto che gli rilasciassero il permesso di soggiorno che gli permettesse di raggiungere la meta che si era prefisso, Parigi, da solo, lasciando che la figlioletta fosse adottata da una famiglia italiana, perché consapevole di avere con lei un rapporto turbato dal ricordo e nella speranza che possa avere un futuro migliore, finisce per rivedere i suoi propositi, rendendosi conto, come gli diceva il vecchio apicoltore, che "le cose che hanno lo stesso odore si appartengono", nonostante tutto. Non è il classico e melenso happy-end ma lo sbocco di un percorso sofferto che ha luogo dopo il confronto con Michele e l'accoglienza da parte di una comunità che lo accetta senza le sfumature razziste che avevano accompagnato le vicende della cinese Li nel film precedente di Segre. Che non si ripete, nonostante le analogie tra i due film, perché racconta le due vicende, che sono sì d'immigrazione ma anche e soprattutto di persone, sotto un'angolatura diversa. Fa il bis, però, in quanto a credibilità e bravura: un film poetico, profondamente umano, calibrato al punto giusto e mai melenso; d'attualità, per i valori che esprime raccontando una storia e facendo parlare i personaggi (tutti bravissimi gli interpreti) a prescindere dalle tristi vicende dei naufragi di disperati di questi tempi.
Nessun commento:
Posta un commento