venerdì 11 settembre 2020

Dogtooth

"Dogtooth"(Kunodontas) di Yorgos Lanthimos. Con Christos Sterghioglou, Mary Tsoni, Angeliki Papoulia, Anna Kalaitzidou, Michele Valley, Hristos Passalis. Grecia 2009 ★★★★

Esce finalmente anche in Italia, con 11 anni di ritardo e grazie ad Andrea Occhipinti e alla sua Lucky Red, il lungometraggio che diede notorietà al regista greco Yorgos Lanthimos segnando l'avvio del suo sodalizio con lo sceneggiatore Efthymis Filippou, proseguito con Alps (del 2011, anch'esso in uscita nelle sale nostrane dalla prossima settimana), The Lobster e Il Sacrificio del cervo sacro. Pluripremiato, fin dalla sua presentazione alla sezione Un certain régard del 62° Festival di Cannes, è quantomai attuale per la sua vena claustrofobica e surreale in tempi di prolungata quarantena; per certi versi profetico in quanto il tema centrale sono gli effetti di un'esagerata ansia di protezione da parte di chi esercita l'autorità e ha potere sui sottoposti, in questo caso la coppia di genitori nei confronti dei tre figli, un maschio e due femmine, ormai cresciuti a tutti gli effetti e da considerarsi "adulti e vaccinati" ma trattati come se fossero degli infanti o poco più. Educati a parlare in una sorta di neolingua dove alcuni termini considerati  in qualche modo delicati vengono sostituiti arbitrariamente da altri dal significato del tutto diverso, vivono nella convinzione che il mondo all'esterno della confortevole villa con giardino che è il loro unico universo, ossia tutto ciò che si trova oltre la recinzione e il cancello di casa, limite invalicabile e quindi tabù, sia mortalmente pericoloso e che vi si potrà accedere, un giorno, solo se adeguatamente istruiti e preparati, momento di liberazione dalla tutela che arriverà quando cadrà il loro dente canino (da qui il titolo del film), notoriamente l'ultimo che si perde, ossia, nella mente dei due ossessivi genitori, mai. La vita quotidiana di questa famigliola esemplare per quanto è del tutto alienata viene descritta in maniera esemplare ed estremamente verosimile attraverso una recitazione meccanica e straniata da parte degli interpreti, tutti bravissimi a creare un'atmosfera ossessiva e straniante. L'unica persona che ha contatti con l'esterno è il padre, titolare di una ditta che potrebbe essere di imballaggi, che recluta un'addetta alla vigilanza dell'azienda, Cristina, per intrattenere sessualmente il figlio maggiore (la meccanicità dei loro amplessi mi ha ricordato quella del celebre Casanova di Fellini  con Donald Sutherland): a sua volta è l'unica persona che dal mondo "alieno" è autorizzata a entrare in quello "perfetto" e protetto, ma anche l'elemento che lo mina perché, trafficando con la figlia maggiore, di cui è pressoché coetanea, quest'ultima viene a conoscenza dell'esistenza di una realtà diversa, anche attraverso delle videocassette che riesce a vedere di nascosto (l'unica cosa che finora veniva trasmessa sullo schermo della TV di casa erano i filmini famigliari). Il padre e datore di lavoro la farà pagare duramente sia a Cristina sia alla figlia, ma il seme della libertà è gettato e germoglierà, anche se dolorosamente... Ma non vi rovino la scena più bella ed emblematica. Che si tratti di una metafora è evidente, del resto la famiglia, per quanto malata e sempre più isolata, rimane il nucleo della società, che riproduce in miniatura gli stessi perversi rapporti di potere che operano in ambito superiore fino allo Stato e ancora più su. Un film duro, geniale, spiazzante e disturbante: notevole.

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