"Il grande passo" di Antonio Padovan. Con Giuseppe Battiston, Stefano Fresi, Roberto Citran, Camilla Filippi, Teco Celio, Flavio Bucci, Luisa De Santis, Vitaliano Trevisan, Francesco Roder, Pascal Zulino e altri. Italia 2019 ★★★½
Dalle critiche lette in giro mi aspettavo la solita commedia all'italiana fitta di luoghi comuni, e tutta giocata sulla fisicità di due autentici pesi massimi del cinema nostrano e sulle simpatia dei due protagonisti, due fratelli per parte di padre che non si sono mai frequentati, Mario e Dario nel film; una sorta di gemelli separati dalla nascita Stefano Fresi e Giuseppe Battiston, il quale ultimo, di fronte al collega romano, sembra quasi un fuscello. In realtà i due attori hanno una storia diversissima: nasce come musicista e compositore il primo, passato al cinema per caso, o meglio per una felice intuizione di Michele Placido; di formazione classica, scuola Piccolo Teatro di Milano, il secondo, entrato più gradualmente nel mondo del grande schermo, ma con altrettanto successo di pubblico e, per quel che conta, "critica". Diversi sono anche nel film, per quanto somiglianti fisicamente: Mario gestisce una ferramenta a Roma assieme alla madre; Dario vive in un casolare nel Polesine, ed è fissato con l'idea di andare sulla luna con un missile da lui costruito, ed è questa idea, che si rivela tutt'altro che una manifestazione di follia, che causa un incidente, perché durante un tentativo di partenza qualcosa va storto e il guasto procura un incendio che distrugge un campo d'asparagi di un imprenditore vicino. Dario viene denunciato e arrestato e per questo motivo viene contattato l'unico parente noto, ossia Mario, che pur avendolo visto una sola volta in tutta la sua vita lo raggiunge nel Rodigino per toglierlo dai guai. La soluzione più pratica, secondo l'avvocato locale, il bravissimo Roberto Citran, sarebbe convincerlo a farsi internare volontariamente in una struttura gestita da una megera e che assomiglia molto ai manicomi di un tempo (ricorre in questi giorni , vedi la coincidenza, il quarantennale della morte di Franco Basaglia) per evitare un TSO, però Dario, il quale nel frattempo conosce meglio il fratello, molto più saggio e intelligente di quel che sembra (è un ex studente di ingegneria aerospaziale dell'Università di Padova, emarginato per la sua coerente ostinazione), si oppone e cerca di trovare soluzioni alternative. Il film diventa una sorta di avventura on the road, pur negli spazi limitati della zona del delta del Po, con un excursus nel Vercellese, alla scoperta di un padre che è mancato a tutt'e due ma il cui mito (falso) ha segnato in modo particolare Dario, rimasto "stregato dalla Luna" fin da quel primo passo dell'uomo sul satellite il 21 luglio del 1969: quest'ultimo è interpretato magistralmente da Flavio Bucci, nell'ultima sua apparizione prima della scomparsa. E' un film dolcemente surreale ma capace di dipingere in modo estremamente verosimile dinamiche personali, famigliari, sociali e tutto un ambiente: in questo è molto "veneto", come con tutta evidenza chi lo dirige e si evince da un cognome come Padovan, che già mi aveva convinto con Finché c'è prosecco c'è speranza, sulle tracce di Carlo Mazzacurati e, per altri versi, di Andrea Segre. Pellicola tutt'altro che banale, che lascia un po' di amaro dentro, perché fa riflettere sulle cose veramente importanti che abbandoniamo: i sogni e le mete apparentemente impossibili, per accontentarci di arrabattarci con una realtà perlopiù squallida con cui siamo costretti a fare i conti, invece di usare le nostre energie per cercare di cambiarla.
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