"Crimini in famiglia" (Crímenes de família) di Sebastián Schindel. Con Cecilia Roth, Miguel Ángel Solá, Sofía Gala, Benjamín Amedeo, Yanina Ávila, Paola Berrientos, Marcelo Subiotto, Diego Cremonesi e altri. Argentina 2020 ★★+
Cupo, disturbante, molto argentino ma non del tutto convincente questo noir di Sebastán Schindel, pur forte delle prestazioni degli interpreti, su tutti l'almadovariana Cecilia Roth, che si giova di un volto deturpato da innumerevoli pastiche mal riuscite per risultare a dir poco inquietante come il suo personaggio, Alícia, il cui unico figlio, Daniel è in carcere, accusato del tentato omicidio della sua ex moglie, Marcela, che vieta a lui e alla sua famiglia di vedere il figlio. Accecata dall'amore materno, che le impedisce di vedere che razza di farabutto è realmente Daniel, fa di tutto, compreso separarsi dal marito, pur di salvarlo dalla condanna in tribunale, fino alla corruzione per far sparire i risultati dell'indagine sul DNA di Daniel trovato sul corpo di Marcela: niente di più facile in un Paese corrotto almeno quanto il nostro e ancora più maschilista, se si appartiene alla Buenos Aires "bene", quella che vive nella zona Nord della città o nei country dei sobborghi di lusso. Al contempo, frustrata nella sua nonnitudine, riversa tutto il suo affetto fagocitando il piccolo Santi, figlio della fedele e silenziosa serva Gladys, una semianalfabeta dal passato famigliare disastrato proveniente da Misiones, come dire una delle province rurali e più arretrate dell'Argentina, di fatto appropriandosene. E qui si innesta il dramma di questa poveraccia, che viene pure essa portata in tribunale con l'accusa di infanticidio per procurato autoaborto, inevitabile in un Paese in cui l'interruzione di gravidanza è tuttora illegale, peraltro indotto dalle dure minacce della "padrona" che non può tollerare che qualche aspetto della vita di Gladys sia fuori dal suo controllo ossessivo, senza un minimo di solidarietà femminile e naturalmente porsi minimamente la domanda su come possa essere rimasta incinta: lo si intuisce alla fine del film ma tutto rimane confuso, perché è nell'oscurità che si naviga, a vista, durante i 99' che dura la pellicola, e che paiono tre ore. Che ha alcuni pregi, oltre alle prove degli attori, la tensione sempre al massimo, il ritratto più che verosimile di certa odiosa borghesia bonaerense, le spaventose disparità sociali che persistono e, anzi, si aggravano in un Paese in cui la classe media è stata distrutta prima che altrove, però è spaventosamente manicheo, come del resto l'Argentina stessa, soprattutto quando nel finale fa credere a un ravvedimento di Cecilia fino a farla diventare una specie di femminista militante: troppo facile. Insomma, film riuscito a metà, esagerato e fin troppo pesante. A quelle latitudini sanno fare di meglio e forse una versione teatrale sarebbe stata più indicata. Infine, si capisce ancora meno del solito il motivo di cambiare la proposizione di con in nel titolo, in una lingua tanto simile all'italiano: Crimini di famiglia non è esattamente la stessa cosa di Crimini in famiglia.
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