lunedì 21 settembre 2020

Un altro referendum sul niente


Una pagliacciata. La diatriba sul sì o il no al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, l’ennesimo tentativo di rappezzatura della Costituzione fatta passare per riforma, è stato il nauseante tormentone estivo passato su tutti i media, peggio quasi della diuturna conta dei contagiati da Covid. Un tempo provvedevano allo stagionale fenomeno di rimbecillimento della pupulasiùn le canzonette dai ritornelli orecchiabili, questi qua invece non si possono più sentire, che si tratti dei giornali sempre meno letti e venduti, TG e GR dell’informazione unica, oppure dei rari che cantano fuori dal coro, come il Fatto Quotidiano: ma anche il continuo starnazzare di Marco Travaglio ha superato i limiti del sopportabile, per quanto mi riguarda. Mi hanno rotto a tal punto i coglioni tutti quanti, compresi i costituzionalisti del Sì come Carlassare e Zagrebeksky, che pure avevano contribuito a demolire l’aborto di riforma targato Boschi-Verdini e la carriera politica di Renzi che l’aveva proposta, che ieri di prima mattina ho preso su la mia tessera elettorale per andare a scrivere sulla scheda NO al SÌ e NO al NO, annullandola. Qualcuno si chiederà perché un anarchico come me insista ad andare ai seggi pur non credendo alla democrazia rappresentativa e avversando ogni autorità a cominciare dallo Stato, e la risposta è che preferisco invalidare la scheda o votare contro qualcuno o qualcosa pur che chi ci crede abbia la possibilità di esprimersi: che tanto sia sufficiente a frenare risorgenti forme di fascismo mai morto e pulsioni nazionalistiche ne dubito, come della intelligenza delle masse, così facili da manipolare e ricattare (soprattutto immiserendole, terrorizzandole e narcotizzandole con la fuffa), ma finora ha funzionato. Comunque, se proprio devo avere a che fare con uno Stato, preferisco che sia nella sua versione liberale, meno invadente possibile, con poche regole però chiare, ma soprattutto serio e non una sua caricatura farsesca e cialtrona come quella che abbiamo sul groppone da quasi 160 anni. Faccio quindi mie buona parte delle considerazioni,
 di semplice buon senso politico, e traendone le medesime conseguenze, di Enzo Marzo, direttore di Critica Liberale, una delle poche riviste che, pur condividendone soltanto in parte (modesta) le posizioni, leggo sempre con interesse. 

Una premessa (la più breve possibile e strettamente personale): pur non partecipando ad alcun Comitato, per me era scontato votare NO semplicemente perché contrario al populismo demagogico e qualunquista della parte (maggioritaria?) del paese. Invece domani mi asterrò, annullando la scheda, perché non mi va di ingurgitare a forza una crema impazzita. 

La riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari si regge su una questione di poco significato perché il numero dei parlamentari non dovrebbe essere deciso a caso in base al ventre, bensì al sistema elettorale e al coordinamento con altre norme costituzionali. Per “fare scena” si è preferito partire dal tetto e non dalle fondamenta.

Forse era inevitabile, ma nelle ultime settimane invece di discutere sui contenuti  si è voluto caricare il referendum di mille colori contraddittori, finché la crema non è impazzita: partiti politici che alcuni mesi fa hanno votato la Riforma oggi sono per il No, o comunque registrano molti “franchi tiratori”; partiti che hanno votato No alla Riforma Renzi-Verdini, che dimezzava il parlamento, adesso sono sostenitori del SÌ; molti fautori del SÌ fanno finta di non vedere il significato politico che è andato assumendo questo voto e si aggrappano esclusivamente ai numeri; altri che predicano per il No denunciano giustamente il significato antidemocratico e antiparlamentare della riforma, ma fanno finta di non accorgersi che la destra, con Berlusconi in testa e alcuni giornali come il “Trasformista” di Sansonetti, vede nel NO lo strumento per far cadere  il governo. Nel frattempo il ceto politico (nessuno escluso) aiuta sfacciatamente il SÌ dando proprio nelle regionali il peggio di sé inzeppando le liste di trasformisti, opportunisti, delinquenti comuni, indecenti legati alla criminalità organizzata ecc.. Ormai la casta politica non si preoccupa nemmeno un briciolo della propria reputazione e mina così alla radice la già scarsa fiducia dei cittadini nella democrazia rappresentativa. Le liste di De Luca in Campania sono il punto terminale della sinistra a guida Pd.

Infine tutti confidano che l’effetto covid sull’astensione porti acqua al proprio mulino.

Il colmo del paradosso è stato raggiunto dal Pd che, legato dal patto governativo, è stato costretto a sostenere il SÌ e lo ha fatto nel modo più suicida. Così è stato scelto lo scemo più scemo di tutto il villaggio per scrivere il volantino ufficiale con le motivazioni, leggiamole alcune: «Perché ridurre a 600 i parlamentari che votano la fiducia è oggi la via per arrivare a un monocameralismo che superi la storica inefficienza del bicameralismo paritario» (ma allora perché il Pd approva norme come quelle delle parificazione dell’età degli elettori per entrambi i rami del parlamento?); «Perché un parlamento più sobrio nei numeri può favorire un rapporto più forte tra eletto ed elettore, aumentando la responsabilità dei primi e la vigilanza dei secondi» (qui non si capisce in che paese viva il Partito democratico, certamente non in Italia); «Perché la bocciatura della riforma 2016 ci impone ora di procedere per tappe. Il SÌ dà una prima risposta e apre una breccia per altre riforme. Il NO dimostrerebbe l’irriformabilità delle istituzioni». Non si sa se questo punto sia soltanto prova di stupidità o di scaltra doppiezza, perché, collegando strettamente questa riforma a quella sciagurata di Renzi-Verdini, bocciata a furor di popolo, si regala al No in un sol colpo quel 59% di elettori che già espresse il suo giudizio negativo. Insomma, un suicidio.

All’origine di questo guazzabuglio c’è la decisione , secondo me irresponsabile, di quella settantina di parlamentari (e comitati annessi), i quali con il referendum hanno cercato lo scontro nel momento più inopportuno. Dietro c’è quel principio, portato avanti dai radicali da sempre, che è meglio perdere, seppellire per sempre il tema affrontato col referendum e avvantaggiare gli avversari pur di comparire per qualche giorno nella società dello spettacolo.

Piuttosto che correre il rischio di aggiungere al voto plebiscitario del parlamento anche il definitivo sigillo popolare, forse sarebbe stato più saggio aspettare un cambio di classe dirigente in molti partiti e lo svuotamento elettorale pressoché certo del M5S. E semmai impostare una riforma complessiva non improntata a interessi particolari del momento. (Come si vede, ancora credo nelle utopie).

L’opportunismo della cricca politica ha fatto il resto. Nessuno in questa paradossale campagna ha detto che il tema era semplicemente sbagliato: non è il numero che fa la sostanza ma il fatto ovvio quanto rivoluzionario che i parlamentari siano eletti dagli elettori e non nominati da una mezza dozzina di Capi di partiti scevri di ogni democrazia interna. Tutto qui.

Infine, a complicare in modo determinante ogni decisione è arrivata la volontà di trasformare il referendum  in un consultazione diretta sulla fiducia nei confronti del governo Conte. Anche il penultimo referendum fu molto politicizzato sia per dichiarazione del perdente sia oggettivamente, perché la riforma, assommata alla legge elettorale Italicum, mostrava con evidenza lo spirito fortemente autoritario e antidemocratico che ne era alla base.

Anche in questa occasione, il tutto si è politicizzato. Proprio all’ultimo, Berlusconi spinge il popolo di destra a votare NO contro una riforma da lui votata semplicemente perché alla coerenza privilegia la caduta del governo. Obiettivo forse impossibile, ma è molto possibile invece che si raggiunga il risultato di metterlo in grave crisi politica e di delegittimarlo. Soprattutto se una vittoria del No si dovesse assommare al previsto disastro alle regionali delle forze di maggioranza governativa. (Sarà motivo di riflessione post elettorale se il popolo grillino, aderendo alla linea Di Battista, rifiuterà il voto disgiunto e farà vincere Salvini e le Destre).

Mi dispiace molto, ma tra un SI’ che sancisce la vittoria del qualunquismo nazionale e un NO che indebolisce molto fortemente un governo, in altri tempi non avrei avuto alcun dubbio. Di governi, ne abbiamo avuti fin troppi. E spesso uno uguale all’altro. Ma oggi il paese è in un momento drammatico e soltanto la possibilità di un Covid gestito dalle Destre o da qualunque altro pasticciaccio consociativo alla Napolitano mi fa venire i brividi. Dato che le regole della democrazia non mi costringono a scegliere tra la padella e la brace, preferisco spegnere il gas.

1 commento:

  1. "Ma oggi il paese è in un momento drammatico e soltanto la possibilità di un Covid gestito dalle Destre...mi fa venire i brividi"
    Notevole, hai anticipato Zingaretti.
    E saresti tu anarchico? Liberale come B, da bravo castellano ti sta meglio. Concordo con Cacciari: "basta puttanate!"


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