domenica 17 novembre 2019

I flagelli della Laguna


E avanti, e ancora, imperterriti. In mezzo alla Laguna, fra il pattume e gli escrementi veleggiavano pure degli stronzi in carne e ossa. Cosiddette "autorità" acquiescenti; un'informazione indecente, complice e corriva; una cittadinanza di una pazienza bovina e che confina con l'imbecillità autolesionista, hanno consentito l'ennesima ripugnante passerella dopo l'ultima acqua granda che ha flagellato Venezia, la seconda della storia, con un picco di 187 cm registrato martedì scorso (erano 194 il 3 novembre del 1966) alla classe politica e dirigente che è la prima responsabile di aver sostenuto un'opera non solo discutibile, ma che dopo 16 anni dall'inizio dei lavori (2° governo Berlusconi: con Renato Brunetta - chissà che casso ga da rider, 'sto mona - e l'attuale sindaco Luigi Brugnaro nella foto che  immortala il brianzolo giovedì scorso in una Piazza San Marco chiusa al pubblico) non è ancora stata completata. "Sarebbe una follia pura non finire in fretta il Mose e non metterlo in funzione", ha detto l’ex premier che, da presidente del Consiglio, nel 2003, posò la prima pietra del Mose, opera non ancora finita. "La partita del Mose è decollata sotto il mio governo, me lo ricordo benissimo - ha aggiunto -. Venimmo qui anche per dare una spinta alla velocità dei lavori e alla fine furono assolutamente tutti convinti che le cose erano così avanti che bisognava continuare". Appunto, le stesse cose ridette oggi: "Siamo al 92-93%, e guardando all'interesse pubblico non c'è che da prendere una direzione nel completamento di questo percorso", così l'attuale presidente del Consiglio Giuseppe Conte ma pure Matteo Salvini, accorso anche lui sul cadavere della un tempo Serenissima. Eccerto, a questo punto tanto vale finirlo, come ha ribadito Massimo Cacciari, tre volte sindaco della città e che è stato uno dei pochi a opporsi alla realizzazione del faraonico progetto. Intanto i collaudi del Mose che, ricordiamolo, è l'acronimo per Modulo Sperimentale Elettromeccanico (capito? sperimentale: questa è stata la scelta geniale per affrontare una situazione endemica, a prescindere da ogni discorso su una crisi - e non "emergenza" - climatica ormai conclamata), sono stati rinviati, se tutto va bene, al 2021. E così Luca Zaia, il supervotato governatore del Veneto, paladino dell'autonomia (ma coi soldi di Roma), il quale afferma che "è una porcheria che 5 miliardi di euro siano in fondo al mare: finiamo il Mose, anche se non lo avrei mai approvato". Peccato sia al secondo incarico, succeduto a Giancarlo Galan, di cui fu vice nell'ultimo dei tre mandati da governatore (dal 1995), coinvolto nel giro di tangenti che ruotava attorno all'ennesima Grande Opera e che, naturalmente, ora si "chiama fuori". Anche Zaia, come il suo mentore, gioca allo scaricabarile. Eppure tutti ci hanno mangiato, anche a sinistra, come ha opportunamente ricordato l'ex magistrato veneziano ed ex parlamentare ulivista Felice Casson. Per quanto mi riguarda, su questo blog, del più che prevedibile, ed evitabile, tracollo di Venezia ne ho parlato qui, qui e qui e non mi va di ripetermi, tanto mi è chiara la situazione, tra cause, effetti nonché responsabilità, e in questa occasione mi limito a riproporre quanto ne ha scritto Paolo Cacciari, fratello di Massimo, sul Fatto Quotidiano di venerdì 15:
Non prendiamoci in giro. Il riscaldamento climatico globale è un flagello epocale, ma non usiamolo come paravento per coprire una storia che ha ben determinate responsabilità locali. La distruzione della laguna di Venezia (e quindi della città insulare storica che con la laguna vive in simbiosi) viene da lontano e deriva da precise scelte di politiche economiche e di pianificazione territoriale che continuano imperterrite. L’aumento del numero e della forza delle maree è provocato solo in parte dall’eustatismo (aumento del livello medio del mare). Il resto è tutta opera nostra!
La laguna ha una superficie di 550 km quadrati. È uno straordinario ecosistema formato da bassi fondali (barene, velme, ghebi, valli ecc.) che reggono, avvolgono e proteggono le isole edificate dagli eventi marini esterni. Le colossali opere idrauliche costruite nei secoli dalla Repubblica di Venezia (deviazione dei fiumi a monte e “murazzi” a mare) hanno sempre seguito questo criterio: non esporre Venezia alle mareggiate ed evitare gli interramenti. Con l’avvento dell’era industriale e il prevalere degli interessi portuali, che dura fino ai nostri giorni con il business della crocieristica, si è fatto esattamente il contrario: si è ristretta la laguna e si sono approfonditi i canali marittimi che regolano i flussi mare/laguna innescando una erosione dei fondali (mezzo milione di metri cubi di sedimenti all’anno) che ha trasformato la laguna in un braccio di mare. Il punto più profondo dell’Altro Adriatico lo si trova in laguna, al Faro Rocchetta: una fossa profonda più di 50 metri in cui si pescano ostriche!
Le conseguenze le abbiamo viste anche l’altra drammatica notte. Non siamo più in presenza di “acqua alta” (che cresce lentamente), ma di una violenta onda di marea. L’acqua sospinta dal vento di scirocco non trova più ostacoli lungo il suo percorso (bassi fondali e terre emerse) in entrata in laguna attraverso le tre bocche di porto (Lido, Malamocco e Chioggia) e diventa un fiume in piena che si infrange sulle fragili rive, sulle fondamenta e sulle fondazioni della città.
Il Mose era sbagliato anche prima di diventare un’opera corruttiva (e proprio per questo motivo aveva bisogno di corrompere gli organi tecnici e politici dello Stato). La scelta progettuale derivava dal fatto di non disturbare gli interessi dei traffici marittimi e di consentire a navi sempre di grandi di entrare in laguna.
Gli ambientalisti lo dicono da sempre: la prima opera di “adattamento” volta ad aumentare la “resilienza” dell’ecosistema veneziano dovrebbe essere il piano morfologico di rinaturalizzazione della Laguna di Venezia, la creazione di un parco nazionale naturale (che il sindaco Brugnaro ha ben pensato di abrogare), la immediata fuoriuscita delle navi dalla laguna, la bonifica di Porto Marghera.
Amen

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