"L'ufficiale e la spia" (J'Accuse) di Roman Polanski. Con Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Grégory Gadebois, Hervé Pierre, Didier Sandre, Wladimir Yordanoff, Mathieu Amalric. USA 2019 ★★★★★
Film perfetto: da un punto di vista formale e tecnico, perché quando alla ricostruzione storica di una vicenda intricata ed emblematica ci pensa un maestro come Roman Polanski si va sul sicuro; sia per le tempistiche e l'argomento, quanto mai attuale. Che non è, come potrebbe sembrare, l'antisemitismo - di cui, sicuramente, Robert Dreyfus, capitano d'artiglieria dell'esercito francese, fu vittima quando, nel 1895 (guarda caso l'anno in cui nacque ufficialmente, proprio a Parigi, il cinema con il primo film dei fratelli Lumière) venne degradato e condannato al confino in un isolotto della Guyana con l'infamante accusa di aver passato informazioni ai nemici tedeschi - ma piuttosto di principi etici: verità, giustizia ed equità. Principi in base ai quali il colonnello Georges Picquard (un ragguardevole Jean Dujardin), che ebbe come allievo Dreyfus alla scuola militare, una volta divenuto capo della Sezione Statistica, lo stesso ufficio che aveva montato il caso contro l'ufficiale, conduce nuovamente l'inchiesta quando si accorge che non solo il passaggio delle informazioni delicate ai tedeschi continua, ma che era basata su un documento falso che tutto l'apparato di potere, dai militari in quell'epoca imperanti, ai grafologi e alla magistratura avevano dato per buono pur sapendo che non lo era e occultando le prove a favore dell'accusato: ché la Ragion di Stato, nonché la convenienza personale, vengono prima di tutto. E questo nonostante Picquard non abbia alcuna simpatia per il personaggio, in verità odioso, né per gli ebrei in generale: verrà ostacolato in ogni modo sia dal governo, sia dai capoccioni dell'esercito (un gruppo estremamente ben assortito di ottimi caratteristi li interpreta in maniera esemplare) che lo hanno in pugno, sia dalla prevalente stampa che propala senza fare una piega quelle che oggi si chiamano fake news e contribuendo ad aizzare i peggiori istinti delle masse pronte a bersi di tutto, soprattutto a lanciarsi addosso al capro espiatorio di turno che le viene dato in pasto. Se la prenderanno con Picquard (che verrà allontanato dall'incarico e spedito per anni a fare ispezioni nelle varie guarnigioni sparse fra territorio metropolitano e colonie e poi perfino arrestato), con la sua compagna, perfino con Emile Zola e con quella parte della stampa che non ha fatto proprie le verità ufficiali. Ce l'avrà vinta, alla fine, il coraggioso Picquard, e con lui quei pochi, tra legali e intellettuali alla ricerca della verità senza farsi guidare dai pregiudizi, e diventerà perfino generale e ministro, dopo lo scagionamento e la riabilitazione Dreyfus, il quale invece di ringraziarlo gli chiederà di rimuovere una legge ingiusta che gli ha impedito di ottenere come risarcimento un avanzamento di grado: gli toccherà opporgli l'opportunità politica di non sostenere, in quel momento, l'abrogazione di una legge che lui stesso ritiene ingiusta, così come a suo tempo aveva ritenuto ingiusta la condanna di Dreyfus. C'è tutto, in questo film, comprese le motivazioni personali di Polanski, vittima da anni di accuse assai dubbie, e tanti aspetti su cui riflettere, a cominciare dalla manipolabilità delle masse da parte dei poteri di turno, in una pellicola attuale, profonda, in cui ogni dettaglio è curato alla perfezione e ha un suo significato, anche ironica e, in alcuni tratti, perfino leggera, perché il tocco grottesco in Polanski non può mancare. Da non perdere.
Film perfetto: da un punto di vista formale e tecnico, perché quando alla ricostruzione storica di una vicenda intricata ed emblematica ci pensa un maestro come Roman Polanski si va sul sicuro; sia per le tempistiche e l'argomento, quanto mai attuale. Che non è, come potrebbe sembrare, l'antisemitismo - di cui, sicuramente, Robert Dreyfus, capitano d'artiglieria dell'esercito francese, fu vittima quando, nel 1895 (guarda caso l'anno in cui nacque ufficialmente, proprio a Parigi, il cinema con il primo film dei fratelli Lumière) venne degradato e condannato al confino in un isolotto della Guyana con l'infamante accusa di aver passato informazioni ai nemici tedeschi - ma piuttosto di principi etici: verità, giustizia ed equità. Principi in base ai quali il colonnello Georges Picquard (un ragguardevole Jean Dujardin), che ebbe come allievo Dreyfus alla scuola militare, una volta divenuto capo della Sezione Statistica, lo stesso ufficio che aveva montato il caso contro l'ufficiale, conduce nuovamente l'inchiesta quando si accorge che non solo il passaggio delle informazioni delicate ai tedeschi continua, ma che era basata su un documento falso che tutto l'apparato di potere, dai militari in quell'epoca imperanti, ai grafologi e alla magistratura avevano dato per buono pur sapendo che non lo era e occultando le prove a favore dell'accusato: ché la Ragion di Stato, nonché la convenienza personale, vengono prima di tutto. E questo nonostante Picquard non abbia alcuna simpatia per il personaggio, in verità odioso, né per gli ebrei in generale: verrà ostacolato in ogni modo sia dal governo, sia dai capoccioni dell'esercito (un gruppo estremamente ben assortito di ottimi caratteristi li interpreta in maniera esemplare) che lo hanno in pugno, sia dalla prevalente stampa che propala senza fare una piega quelle che oggi si chiamano fake news e contribuendo ad aizzare i peggiori istinti delle masse pronte a bersi di tutto, soprattutto a lanciarsi addosso al capro espiatorio di turno che le viene dato in pasto. Se la prenderanno con Picquard (che verrà allontanato dall'incarico e spedito per anni a fare ispezioni nelle varie guarnigioni sparse fra territorio metropolitano e colonie e poi perfino arrestato), con la sua compagna, perfino con Emile Zola e con quella parte della stampa che non ha fatto proprie le verità ufficiali. Ce l'avrà vinta, alla fine, il coraggioso Picquard, e con lui quei pochi, tra legali e intellettuali alla ricerca della verità senza farsi guidare dai pregiudizi, e diventerà perfino generale e ministro, dopo lo scagionamento e la riabilitazione Dreyfus, il quale invece di ringraziarlo gli chiederà di rimuovere una legge ingiusta che gli ha impedito di ottenere come risarcimento un avanzamento di grado: gli toccherà opporgli l'opportunità politica di non sostenere, in quel momento, l'abrogazione di una legge che lui stesso ritiene ingiusta, così come a suo tempo aveva ritenuto ingiusta la condanna di Dreyfus. C'è tutto, in questo film, comprese le motivazioni personali di Polanski, vittima da anni di accuse assai dubbie, e tanti aspetti su cui riflettere, a cominciare dalla manipolabilità delle masse da parte dei poteri di turno, in una pellicola attuale, profonda, in cui ogni dettaglio è curato alla perfezione e ha un suo significato, anche ironica e, in alcuni tratti, perfino leggera, perché il tocco grottesco in Polanski non può mancare. Da non perdere.
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