E' inevitabile, allo stadio, quando la propria squadra del cuore sta vincendo col minimo scarto, magari immeritatamente e con un gol segnato di straforo, e si cominciano a percepire, dal progressivo spostamento del baricentro del gioco verso la propria metà campo, le crescenti difficoltà a difendere il vantaggio, che si levi da più parti l'ironico, quanto accorato invito all'arbitro di fischiare anticipatamente la fine dell'incontro, anche quando si è appena al 20' del primo tempo: è un auto-sfottò, qualcosa che ha a che fare con la scaramanzia, malattia congenita che accomuna i tifosi di qualsiasi età, latitudine, credo, etnia, ceto sociale (motivo per cui non bisogna mai augurare a chi si accinge ad andare al campo a soffrire - perché di questo si tratta - "buona partita" o "divertiti": tutt'al più "che vinca il migliore" - immancabile la risposta, citando il compianto Paròn Nereo Rocco: "speremo de no"). Ecco, se un ipotetico direttore di gara, il supremo arbitro della Serie B fischiasse in questo momento la fine del torneo, giunto a un terzo del suo percorso, il piccolo, grande Pordenone, alla prima esperienza nella serie cadetta in cento anni di storia, in questo momento sarebbe secondo da solo in classifica dietro le Streghe del Benevento, e promosso direttamente in Serie A senza dover passare per i play-off. "Squadra rivelazione", "Sorpresa neroverde": fino a un certo punto, per chi segue i ramarri da qualche anno; "Miracolo Pordenone": miracolo un accidente, come ha ribadito ancora qualche settimana fa il presidente Mauro Lovisa: “In questi giorni tanti ci associano la parola miracolo. Ma i miracoli non esistono nel calcio. I risultati, in questo caso straordinari (in continuità con il recente passato) e chiaramente sopra le aspettative generali, sono il frutto della programmazione, dell’organizzazione societaria e del lavoro di tutti. Di un progetto sportivo e sociale, con Tesser come straordinario valore aggiunto, in cui ci sono ruoli chiari e definiti. Non conosco altri segreti. Continuiamo così, insieme: club, staff tecnico, calciatori, tifosi e tutto il territorio che ci sostiene. La strada è ancora lunga”. Ecco: quello che manca è proprio l'ultimo aspetto, il territorio. Intendo la città, la sua amministrazione, i politici in generale (salvo alcune lodevoli eccezioni come l'ex sindaco Bolzonello), la gran parte degli imprenditori locali, la provincia in generale che, calcisticamente parlando, tranne il capoluogo, Caneva e Sacile, guarda piuttosto all'Udinese. Sul progetto del nuovo stadio, poi, tutto tace da oltre un mese, e tanti abbonati cominciano a pensare "manco mal", se la soluzione "di ripiego" per le gare interne, grazie a un accordo tra Lovisa e i Pozzo, è lo Stadio Friuli di Udine, alias Dacia Arena, probabilmente il migliore impianto attualmente disponibile in Italia, a 45 km dalle sponde del Noncello. Sabato, a ogni buon conto, pur sotto alla pioggia battente, a tratti di tipo monsonico, ho assistito non solo a una delle migliori prestazioni dei ramarri nell'ultimo quadriennio, ma a una delle partite più belle e soddisfacenti in assoluto degli ultimi dieci anni, specialmente il secondo tempo, quando ho visto all'opera una vera squadra, che è poi la caratteristica dei ramarri: quella di essere un gruppo estremamente coeso, e in particolare di tutte le formazioni allenate da Attilio Tesser, al di là della sua capacità unica di disporre in campo i suoi giocatori senza snaturare mai il gioco, sia nelle partite casalinghe sia in trasferta. Un'ultima notazione: nella rosa del Pordenone c'è un solo giocatore straniero, il terzo portiere, Jan Jurczac, un ragazzo polacco di 18 anni in prestito dall'Escola di Varsavia, perché non lo è Lucas Chiaretti, oriundo brasiliano con doppia nazionalità, e quasi la metà dei giocatori sono nati nel Triveneto (il capitano De Agostini e il centravanti Strizzolo sono di Udine); in quella dell'Udinese mi risultano tre soli italiani, nessuno dei quali nato da queste parti, e meno che mai proveniente da un vivaio un tempo tra i più prolifici (ora soltanto per i portieri). Un peccato. Quindi bravi ragazzi, grazie presidente e Forza, ramarri, Forza Pordenone!
lunedì 25 novembre 2019
Fischia la fine...
E' inevitabile, allo stadio, quando la propria squadra del cuore sta vincendo col minimo scarto, magari immeritatamente e con un gol segnato di straforo, e si cominciano a percepire, dal progressivo spostamento del baricentro del gioco verso la propria metà campo, le crescenti difficoltà a difendere il vantaggio, che si levi da più parti l'ironico, quanto accorato invito all'arbitro di fischiare anticipatamente la fine dell'incontro, anche quando si è appena al 20' del primo tempo: è un auto-sfottò, qualcosa che ha a che fare con la scaramanzia, malattia congenita che accomuna i tifosi di qualsiasi età, latitudine, credo, etnia, ceto sociale (motivo per cui non bisogna mai augurare a chi si accinge ad andare al campo a soffrire - perché di questo si tratta - "buona partita" o "divertiti": tutt'al più "che vinca il migliore" - immancabile la risposta, citando il compianto Paròn Nereo Rocco: "speremo de no"). Ecco, se un ipotetico direttore di gara, il supremo arbitro della Serie B fischiasse in questo momento la fine del torneo, giunto a un terzo del suo percorso, il piccolo, grande Pordenone, alla prima esperienza nella serie cadetta in cento anni di storia, in questo momento sarebbe secondo da solo in classifica dietro le Streghe del Benevento, e promosso direttamente in Serie A senza dover passare per i play-off. "Squadra rivelazione", "Sorpresa neroverde": fino a un certo punto, per chi segue i ramarri da qualche anno; "Miracolo Pordenone": miracolo un accidente, come ha ribadito ancora qualche settimana fa il presidente Mauro Lovisa: “In questi giorni tanti ci associano la parola miracolo. Ma i miracoli non esistono nel calcio. I risultati, in questo caso straordinari (in continuità con il recente passato) e chiaramente sopra le aspettative generali, sono il frutto della programmazione, dell’organizzazione societaria e del lavoro di tutti. Di un progetto sportivo e sociale, con Tesser come straordinario valore aggiunto, in cui ci sono ruoli chiari e definiti. Non conosco altri segreti. Continuiamo così, insieme: club, staff tecnico, calciatori, tifosi e tutto il territorio che ci sostiene. La strada è ancora lunga”. Ecco: quello che manca è proprio l'ultimo aspetto, il territorio. Intendo la città, la sua amministrazione, i politici in generale (salvo alcune lodevoli eccezioni come l'ex sindaco Bolzonello), la gran parte degli imprenditori locali, la provincia in generale che, calcisticamente parlando, tranne il capoluogo, Caneva e Sacile, guarda piuttosto all'Udinese. Sul progetto del nuovo stadio, poi, tutto tace da oltre un mese, e tanti abbonati cominciano a pensare "manco mal", se la soluzione "di ripiego" per le gare interne, grazie a un accordo tra Lovisa e i Pozzo, è lo Stadio Friuli di Udine, alias Dacia Arena, probabilmente il migliore impianto attualmente disponibile in Italia, a 45 km dalle sponde del Noncello. Sabato, a ogni buon conto, pur sotto alla pioggia battente, a tratti di tipo monsonico, ho assistito non solo a una delle migliori prestazioni dei ramarri nell'ultimo quadriennio, ma a una delle partite più belle e soddisfacenti in assoluto degli ultimi dieci anni, specialmente il secondo tempo, quando ho visto all'opera una vera squadra, che è poi la caratteristica dei ramarri: quella di essere un gruppo estremamente coeso, e in particolare di tutte le formazioni allenate da Attilio Tesser, al di là della sua capacità unica di disporre in campo i suoi giocatori senza snaturare mai il gioco, sia nelle partite casalinghe sia in trasferta. Un'ultima notazione: nella rosa del Pordenone c'è un solo giocatore straniero, il terzo portiere, Jan Jurczac, un ragazzo polacco di 18 anni in prestito dall'Escola di Varsavia, perché non lo è Lucas Chiaretti, oriundo brasiliano con doppia nazionalità, e quasi la metà dei giocatori sono nati nel Triveneto (il capitano De Agostini e il centravanti Strizzolo sono di Udine); in quella dell'Udinese mi risultano tre soli italiani, nessuno dei quali nato da queste parti, e meno che mai proveniente da un vivaio un tempo tra i più prolifici (ora soltanto per i portieri). Un peccato. Quindi bravi ragazzi, grazie presidente e Forza, ramarri, Forza Pordenone!
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