Ripropongo di seguito, e mi auguro non me ne vogliano né l'autore né gli amici del "Fatto Quotidiano", a cui sono abbonato dalla nascita del giornale, un articolo uscito stamattina sullo stesso, che riassume quanto c'è da dire sul Mose e sulla volontà di uccidere definitivamente Venezia da parte della maggioranza dei suoi stessi abitanti e di coloro che, in pura teoria, sono incaricati di preservarla. Aggiungo una considerazione personale. Ciò che è scritto in sostanza nell'articolo, e in particolare che il collasso dell'equilibrio lagunare, il cui governo attentissimo fu alla base della storia e della ricchezza di una Città che fu anche una Repubblica e un Impero (parafraso il titolo di un ottimo libro dello storico veneziano Alvise Zorzi) avvenne con la sciagurata scelta di dragare la Laguna per scavare, negli anni Sessanta, il Canale dei Petroli e poi gli altri che permettono l'entrata delle oscene navi da crociera cui è criminalmente consentito un ulteriore sfregio in tutti i sensi della città, ricordo che lo scrissi a 12 anni, nel 1967, in prima media, nell'unico tema in cui, in quel disgraziato triennio frequentato in una pessima scuola milanese, fui "premiato" con un sette e in cui non mi fu rinfacciato dI non aver rispettato la traccia, e il commento dell'insegnante di italiano fu, me lo ricordo bene, "Quando il tema ti interessa sai scrivere anche tu, venesiàn!". Era passato qualche mese dall'alluvione del novembre 1966 che si abbattè con effetti disastrosi sulle due maggiori città d'arte italiane (e mondiali): Firenze e, per l'appunto, Venezia; Indro Montanelli aveva lanciato sulle pagine del "Corriere della Sera" la prima vera battaglia ecologista fatta in Italia e il tema era d'attualità e filtrava perfino nelle scuole più retrive come quella che frequentavo io. Per dire che bastava conoscere il Principio di Archimede, quello che tutti abbiamo sperimentato empiricamente immergendoci in una vasca da bagno, e che sta alla base dell'idraulica, per capire la portata della decisione demenziale di dare vita a quell'opera. Il Mose, classico esempio di "pezo el tacòn del buso", (Mosè cui il sistema ingegneristico delle paratie mobili rimanda, dividendo le acque per far passare gli ebrei alzò il livello di quelle "spartite") non è che l'inevitabile conseguenza di scelte di una miopia che rasenta la cecità, fatte con intenti puramente speculativi e contrabbandate come necessarie per uno sviluppo che si rivelerà presto immancabilmente insostenibile, foriero di lavoro (sfruttato e che produce morte: vedi Petrolchimico di Marghera e, oggi, Ilva di Taranto) e benessere (dei bottegai avidi e altrettanto cancerogeni, di cui è esponente perfetto Renato Brunetta), grazie alla definitiva disneyificazione di Venezia. Tutte cose che vedeva ed era in grado di capire e spiegare allora un ragazzino di 12 anni, nemmeno particolarmente brillante, almeno non nella valutazione dei suoi insegnanti, visto le insufficienze di cui ero caricato e il fatto che sono uscito dalle medie inferiori col "minimo sindacale". Ovviamente Montanari sviluppa in questo rapido pezzo il tema in modo attualizzato e con altra penna. Buona lettura
LAGUNA AL COLLASSO
Venezia, storia di un suicidio
di Tomaso Montanari
Massimo Cacciari – tra i cui non molti meriti di sindaco di Venezia c’è quello di essersi sempre opposto al Mose – ha detto che le radici della corruzione vanno cercate nell’urgenza. Vero, ma il Mose sarebbe criminogeno anche se i suoi lavori andassero lentissimi. Perché è un progetto sbagliato in sé: frutto di quella vocazione al suicidio da cui Venezia non sembra capace di liberarsi.
Per mille anni la Repubblica Serenissima ha vegliato sul delicato equilibrio della Laguna, che è la particolarissima “campagna” che circonda Venezia. In natura, una laguna ha una vita limitata nel tempo: o vincono i fiumi che portano materiali solidi verso il mare, e la laguna si trasforma in palude e piano piano si interra, oppure vincono le correnti marine, che tendono a renderla un golfo o una baia.
I veneziani capirono subito che tenere in vita la Laguna salmastra voleva dire assicurarsi uno scudo naturale sia verso la terra che verso il mare. Non mancarono le discussioni: celeberrima quella cinquecentesca tra Alvise Cornaro, che avrebbe voluto bonificare la Laguna, e Cristoforo Sabbadino, che ne difese vittoriosamente la manutenzione continua. Così la storia di Venezia – ha scritto Piero Bevilacqua – è stata “la storia di un successo nel governo dell’ambiente”.
Una storia che, con l’avvento dell’Italia unita si è, però, interrotta, ed è definitivamente collassata negli ultimi quarant’anni di malgoverno veneziano. Per fare entrare le Grandi Navi (turistiche, industriali e commerciali) si sono dragati e approfonditi i canali d’accesso in Laguna, e contemporaneamente se ne è abbandonata la secolare manutenzione .
IL RISULTATO è stato un abnorme aumento dell’acqua alta, culminato nella vera e propria alluvione del 1966. Fu proprio quell’enorme choc che mise Venezia di fronte all’alternativa: o riprendere il governo della Laguna e mantenere l’equilibrio, o essere mangiata dall’Adriatico.
Fu allora che emerse la terza via: il Mose, che permise di eludere la scelta tra responsabilità e consumo. L’idea era di continuare indefinitamente a violentare la Laguna e poi rimediare meccanicamente, con una gigantesca valvola che chiudesse le porte al mare. È come se un paziente ad altissimo rischio di infarto venisse persuaso dai medici a non sottoporsi ad alcuna dieta né ad alcun esercizio fisico, e a scommettere invece tutto su una costosissima e complicata operazione di angioplastica. Non verrebbe da pensare solo che i medici sono incompetenti : ma anche che hanno qualche interesse occulto nell’operazione. E se poi quei medici finissero in galera, chi potrebbe stupirsi?
Follemente, la scelta della terapia è stata affidata direttamente ai chirurghi. Fuor di metafora: la salvezza di Venezia e del suo territorio è stata affidata a un consorzio di imprese private (il Consorzio Venezia Nuova) interessate a realizzare il costosissimo meccanismo di riparazione del danno , il Mose appunto. E tutto è stato asservito a questo ente: anche il controllo del Magistrato delle Acque, che si è trovato a ratificare (invece che a sorvegliare) scelte operate in base all'interesse privato.
SAREBBE difficile spiegare un simile suicidio se non vedessimo che Venezia si distrugge ogni giorno in mille altri modi, prostituendosi, fino alla morte, a un turismo cannibale. Ma mentre gli abitanti continuano a scendere (sono ora 59.000: un terzo della popolazione del 1950, la metà di quella del 1510) e le Grandi Navi sembrano inarrestabili, c’è ancora chi resiste, tra mille difficoltà. Esemplare il caso di Italia Nostra, cui appartiene la voce più ferma e coraggiosa contro la morte di Venezia, una voce che un anno fa aveva documentato pubblicamente proprio la corruzione del Mose: ebbene, la soprintendente architettonica veneziana Renata Codello ha querelato l’associazione, che le rimproverava pubblicamente la difesa delle Grandi Navi, e l’autorizzazione allo scempio (futuro) del Fondaco dei Tedeschi e al raddoppio (in corso) dell’Hotel Santa Chiara sul Canal Grande (quello dove, secondo i pm, la segretaria di Giancarlo Galan avrebbe ricevuto le mazzette!). E che avvocato ha scelto la Co-dello? Ma quello del Consorzio Nuova Venezia, che controlla il Mose. Pulire la Laguna, insomma, sarà un’impresa lunga.
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