lunedì 31 ottobre 2022

Triangle of Sadness

"Triangle of Sadness" di Ruben Östlund. Con Harris Dickinson, Charlbi Dean Kriek, Woody Harrelson, Dolly De Leon, Zlatko Burić, Vicky Berlin, Sunnyi Melles, Iris Berben, Henrik Dorsin, Linda Anborg, Arvin Kananian e altri. Svezia 2022 ★★★★★

E così Östlund ha fatto il bis, vincendo nuovamente la Palma d'Oro a Cannes questa primavera dopo averla già conquistata nel 2017 con il devastante The Square, che mi aveva fatto ribaltare il giudizio su di lui: ora l'esplosivo Triangle of Sadness mi costringe a cercare di rintracciare e rivedere, con altri occhi, anche Forza maggiore, che l'aveva preceduto e reso famoso e che a una prima visione mi aveva lasciato perplesso. Fra i due trionfi festivalieri in Costa Azzurra, nel 2019 lo stesso premio l'aveva ricevuto, con pieno merito, anche il sudcoreano Bong Joon-ho per Parasitecon il quale ha parecchie affinità, a cominciare dalla chiarezza del messaggio e dalla incisiva, dissacrante critica sociale, che non è rivolta soltanto ai ricchi, ossia a chi fa i soldi coi soldi, ma a tutte le classe sociali, senza distinzione, un'umanità disumanizzata e sconquassata, dal cervello devastato, assetata di potere, in qualsiasi forma, prima ancora che di danaro, e come in Parasite anche qui si ha un'inversione spettacolare dei ruoli nell'ultimo dei tre atti in cui si divide questa feroce quanto efficace satira sociale, che non colpisce solo il cretinismo scandinavo, che ha un che di endemico, ma ha valenza universale. Nel primo siamo a un esilarante casting di modelli maschi a cui partecipa Carl (Dickinson), che fa coppia con Yaya (Kriek, scomparsa a 32 anni due mesi fa, bravissima a renderne l'immensa stronzaggine), pure lei modella, che però guadagna tre volte più di lui essendo femmina (a proposito di parità...) con seguito di cenetta e inarrivabile discussione su chi debba pagare il conto. I due sono anche influencer (ed ecco colpita un'altra categoria di "emergenti" nonché imbecilli all'ennesima potenza, ma mai come chi li segue) e in quanto tali vengono invitati a una crociera su uno yacht di lusso, che batte bandiera britannica. E qui prende piede il secondo atto. A bordo Dimitri, un capitalista russo diventato miliardardo vendendo letteralmente merda e le sue due frastornate donne (strepitosa Sunnyi Melles), una coppia di distinti anziani inglesi che portano avanti l'azienda di famiglia che produce mine antiuomo e altre schifezze simili, un single imbranato che si arricchito a sua volta a dismisura sviluppando e vendendo app, una coppia tedesca con lei invalida in carrozzella che per tutto il film ripete ossessivamente in qualsiasi occasione una sola frase come un mantra: in den Wolken, ossia "nelle nuvole", solo con intonazioni diverse. Poi c'è lo staff che deve accontentare i passeggeri in ogni loro capriccio, agli ordini di Paula (esilarante il discorso "motivazionale" prima dell'imbarco dei partecipanti), infine la ciurma, composta prevalentemente da immigrati dal Terzo Mondo, ma non mancano greci, italiani e spagnoli (esponenti dei famigerati PIGS... ) Al comando della nave, il Capitano, magnificamente interpretato da uno stralunato, meraviglioso Woody Harrelson, americano e marxista osservante, il quale esce dalla sua cabina solo per partecipare, per l'appunto, alla rituale "cena del capitano" che ha voluto si tenesse nell'unico giorno in cui in mare era prevista una tempesta. E infatti succede il disastro, scene apocalittiche e "liberatorie" in tutti i sensi avvengono nella sala da pranzo e nei bagni della nave, scene simili me le ricordo soltanto ne La grande abbuffata di Ferreri: probabilmente ci sarà qualcuno che storcerà il naso o sarà nauseato, io quasi stavo male dal ridere a vedere come lo Zot divino, nel cuore dell'Egeo, avesse colpito inesorabilmente al ventre e nelle budella questa umanità repellente (escluso il glorioso capitano, s'intende), e alla fine lo yacht fa naufragio. Si apre il terzo e ultimo atto con i  pochi sopravvissuti che si trovano spiaggiati sulla spiaggia di un'isola, senza acqua e senza scorte, tranne quelle contenute in una sorta di scialuppa-sottomarino (che diventerà l'alcova di un amore ancillare all'incontrario) di competenza di quella che a bordo era la responsabile della pulizia dei cessi, e che prenderà il comando della situazione... Un film potente, feroce come si deve se si vuole per davvero colpire duro e mettere alla berlina l'andazzo imperante, con  l'imbesuimento generalizzato e globalizzato che ormai ha preso piede a ogni latitudine e colpisce inesorabilmente ogni categoria umana o fascia d'età, dotato di quella cattiveria che manca totalmente, salvo rarissime eccezioni, alla commedia nostrana anche quando vuole essere noir e al passo coi tempi, come per esempio l'ultimo lavoro di Virzì, Siccità che non centra il bersaglio, ammesso che ne avesse uno, essendo tanto privo di mordente quanto zeppo di luoghi comuni. Triangle of Sadnass è magistrale, geniale, da non perdere. 

1 commento:

  1. Non poteve non vincere a Cannes, similia cum similibus direbbe qualcuno. Satira sociale trita e ritrita, scopiazzata a man bassa da letteratura e cinema. Qualche buona idea c'era all'inizio, ma poi tutto è finito letteralmente dentro e fuori del cesso.

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