mercoledì 12 ottobre 2022

Everything Everywhere All At Once

"Everything Everywhere All At Once" di Dan Kwan e Daniel Sheinert. Con Michelle Yeoh, Stephanie Hsu, Ke Huy Quan, James Hong, Jamie Lee Curtis, Tallie Medel, Jenny Slate e altri. USA 2022 1/2

Presentato come una sorta di prodigio dalla critica militonta, un evento da iscrivere tra le vette più alte della nuova cinematografia ormai entrata nella gloriosa era del multiverso, il film dei due Daniels, Kwan e Sheinert, la cui origine di autori di videoclip appare in tutta evidenza lungo le quasi due ore e mezzo di proiezione, celebrerebbe la rivalsa della produzione indipendente nei confronti di quella "maggiore" come la Marvel coi suoi supereroi sul suo stesso terreno ma con mezzi più modesti: a mio parere questo vale anche per i risultati. Non per il minore impatto: quello che in altre mega produzioni viene ottenuto con costosi effetti speciali, qui si consegue facendo scorrere le immagini a velocità doppia o tripla, ossia "effetto Ridolini", ovvero ottundendo la capacità ricettiva dello spettatore con l'intendo di distrarne l'attenzione da una trama inconsistente e ridicola: Tutto, ovunque e allo stesso tempo suona la traduzione del titolo, insomma un pastrocchio colossale. Evelyn è un'americana di origini cinesi che gestisce in maniera caotica assieme al marito una lavanderia che ha problemi finanziari e sulla quale ha puntato l'attenzione l'occhiuta agenzia delle entrate locale: con lei vive il vecchio padre, che non spiccica una parola di inglese e la coppia ha una figlia, Joy,  invece completamente americanizzata, il cui rapporto omosessuale con la coetanea Becky Evelyn viene rimosso perché di fondo non accettato. Inetta in tutto, votata al fallimento, Evelyn viene scelta dall'alter-ego del marito, proveniente da una realtà parallela, proprio per questa caratteristica: non avendone una in cui eccella, è perfetta per assorbire quelle in cui invece primeggiano le varie Evelyn che vivono negli universi paralleli, e così, trovandosi nell'ufficio delle entrate dove si è recata per perorare la propria causa presso l'arcigna burocrate impersonata da una Jamie Lee Curtis resa quasi irriconoscibile, la nostra "eroina", interpretata dalla paraltro bravissima e pluriprermiata Michelle Yeoh, viene palleggiata come una pallina da flipper impazzita da un universo all'altro per salvare l'AlfaVerso in cui ha preso il potere Jobu Tobaki, già Alpha Joy, che altri non è che la "alfa" versione della figlia. Ritmi parossistici, commedia a tratti noir e a tratti fantasy con dosi massicce di kung fu, un omaggio al cinema di Hong Kong e un altro a quello americano anni Ottanta, il film vuole forse fare un ritratto ironico della condizione dei cinesi d'America, tirare frecciatine apparentemente iconosclaste e irriverenti qua e là ma in realtà prive di mordente e francamente puerili, ma quello che ormai è insopportabile è il continuo ed esasperato citazionismo cinéphile, con cui sarebbe ora piantarla per raccontare qualcosa di originale senza fare sempre riferimento a un passato più o meno autoriale, uno stucchevole strizzare l'occhio tra addetti ai lavori e pubblico che si ritiene consenziente che a forza di insistere ha rotto i coglioni. Se il film si fa sopportare, a fatica, fino alla fine, è solo perché c'è movimento (parossistico), ritmo e colore e si è pagato il biglietto, e perché ci si vuol rendere conto fino a che punto si è disposti a farsi prendere per il culo: una sorta di autopunizione, che si merita per esserci cascati. Se siete disposti a fare lo stesso, è un film da non perdere. Altrimenti meglio che aspettiate che passi in TV e metterlo a velocità tripla, tanto non cambia niente, e alla fine ve la cavereste con poco più di tre quarti d'or di visione. 

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