"Princess" di Roberto De Paolis. Con Kevin Glory, Lino Musella, Sandra Osagie, Maurizio Lombardi, Salvatore Striano e altri. Italia 2022 ★★1/2
Secondo lungometraggio di Roberto De Paolis dopo il positivo esordio, cinque anni fa, con Cuori puri, che racconta, visto dall’interno, il mondo della prostituzione delle ragazze nigeriane che prospera da decenni ai margini delle città italiane, sconosciuto non solo per mancanza di interesse ("si arrangino tra loro" è la reazione comune) ma perché pressoché impenetrabile, anche a causa della cultura del tutto estranea di queste giovani donne, ricattate dalle “maman” e protettrici al servizio della potente mafia locale fin dall’arruolamento nel loro Paese e poi spedite in Italia (e nel resto d’Europa) a prostituirsi nell’illusione di potersi pagare un giorno il “riscatto”. Un’esistenza fatta di miseria, pericoli, umiliazioni, ma anche di cameratismo, gelosie, invidie tra poveracce, dove tutto, sentimenti compresi, è ridotto a merce e, dunque, a denaro: sono le stesse famiglie d’origine, oltre a chi le ha sequestrate, a reclamarlo, ossessionate come sono dal consumo e del tutto indifferenti alla vite che sono costrette a condurre le loro figlie o sorelle. Tra queste la diciannovenne Princess, nomignolo con cui è nota tra le colleghe, che a ogni prestazione con un nuovo cliente cambia il proprio “nome d’arte” con una sistematicità tale da avere perfino dimenticato quello proprio di battesimo. Una ragazza che riesce ad affrontare lo squallore del suo mestiere perché vive in totale separazione dal suo corpo: non è il suo, quello che offre ai desideri dei clienti, ma quello di una donna rimasta in Africa, a cui una qualche "curandera" le ha assicurato di aver trasferito gli eventuali dolori subiti mentre lavora. Insomma, una favola che racconta a sé stessa questo che è il personaggio principale che, francamente, non suscita alcuna empatia, chiusa com'è in un circolo di superstizione, cinismo, autoassoluzione, incapace di vedere qualcosa al di fuori del denaro anche quando le si presenta l'occasione di essere sé stessa invece della maschera (con parrucca e nome diverso a ogni occasione) con cui lavora, in seguito all'incontro con Corrado, un sempre misurato ed efficacissimo Lino Musella, uomo che conosce casualmente nel bosco dove "esercita" e che non è interessato alle sue prestazioni ma a lei come persona. Da quel che risulta, il regista romano si è immerso nell'ambiente, la boscaglia alle spalle di Ostia verso la capitale, collaborando con ragazze nigeriane vittime di quella che è una vera e propria tratta di esseri umani, che hanno accettato di interpretare sé stesse, per cui il ritratto che fa della loro esistenza è del tutto veritiero: non giudica, e di questo bisogna essergli grati, né è pietistico e penosamente "buonista" nel ritrarre quest'umanità derelitta, ma il film non convince del tutto, a meno di non volerlo considerare una sorta di documentario o saggio. E, anche in questo caso, lo trovo carente. La reazione, davanti agli atteggiamenti di queste ragazze, e di Princess in particolare, che viene istintiva è di dire: sono vittime, senz'altro, ma ci mettono del loro ad accettare la logica che le ha fregate e, anzi, a perpetrarla. Non credo che fosse questo l'intento del buon De Paoli, ma il risultato, per quel che mi riguarda, è alquanto respingente e non dispone in senso positivo. Lo spettatore è costretto a prendere atto di un'ulteriore situazione che testimonia che l'umanità non ha vie d'uscita finché non prende coscienza di essere essa stessa una semplice merce e che l'unico valore è il dannato denaro. Se è questo il risultato che De Paoli voleva ottenere, ebbene: lo sapevamo già da un pezzo.
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