venerdì 4 novembre 2022

Il mio vicino Adolf

"Il mio vicino Adolf" (My Neighbor Adolf) di Leon Prudovsky. Con David Hayman, Udo, Kier, Olivia Silhavy, Kineret Peled, Jaime Correa, Danharry Colorado e altri. Polonia, Israele 2022 1/2

Dopo un poker di film sorprendenti e di alto livello, era inevitabile la caduta: non mi aspettavo però che la delusione, puntuale, venisse proprio da una coproduzione polacco-israeliana, trattandosi di cinematografie di spessore a cui qualità e talento non fanno difetto; sapevo anche che il film affrontava, coi mezzi della commedia, la tragedia dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, in particolare gli ebrei dell'Europa Orientale, e che il tono leggero servisse a mettere in luce alcuni aspetti del disagio psicologico di chi l'ha scampata che non vengono solitamente messi in luce quando il tema è quello dell'olocausto. Però o si è all'altezza del Benigni in stato di grazia de La vita è bella (al di là dei suoi falsi storici) oppure bisogna avere una sceneggiatura valida da tradurre in immagini sullo schermo, e questo non certo è il caso de Il mio vicino Adolf. Una trama esilissima è quella di questo filmetto, che racconta la strana avventura capitata al signor Polsky, un anziano ex giocatore di scacchi ebreo polacco, che ha perso l'intera famiglia nei lager, e che si è rifugiato nella Colombia rurale dove vive da eremita in una casetta isolata occupandosi della coltivazione delle sue amate rose nere e dei problemi di scacchi pubblicati sulle riviste specializzate che gli vengono consegnate a domicilio, e che un bel giorno, all'alba del 1960, si trova ad avere come confinante nella villetta accanto, un uomo che vive in segretezza come lui, si fa rappresentare da un'avvocatessa per curare i suoi interessi e le stesse relazioni col vicino da un'avvocatessa: parla tedesco, si fa chiamare Herzog, ha un cane pastore di nome Wolfie che sconfina nel suo giardino defecando sulle sue rose e il cui sguardo, benché camuffato da occhiali da sole che porta anche di notte, oltre a nascondere i lineamenti dietro a una folta barba che in effetti lo fa sembrare più Karl Marx, gli ricordano Hitler. Tra uno screzio e l'altro tra vicini di casa litigiosi, gag viste e riviste in migliaia di pellicole fin dai tempi dei fratelli Lumière, da un lato Polski si convince vieppiù che si tratti del Führer sotto mentite spoglie e passa il tempo a raccogliere le prove per cercare di convincere la residente del Mossad, che all'epoca aveva appena sequestrato e trafugato in Israele Eichmann, a entrare in azione; dall'altro proprio per questo inizia a frequentarlo e, tra una partita a scacchi e un sorso di vodka, comincia ad avere con lui un rapporto ambiguo, ed entrarci in un certo qual modo in confidenza. Ovviamente gli agenti del Mossad non gli danno retta ma, e qui rivelo la "sorpresa", il buon Polski non aveva tutti i torti nei suoi sospetti, perché Herzog, che in realtà era un attore, era uno dei sei sosia di Hitler, costretto a rischiare la pelle in vece sua e che, una volta specializzatosi nella parte, l'aveva messa a frutto, sotto la guida della scaltra avvocatessa che gli fa da "agente" e manager, per manipolare i creduloni sudamericani e i vari nazisti che si erano rifugiati e nascosti nel Continente dopo il 1945 e trarne vantaggio. Insomma un disgraziato pure lui, in balìa di eventi che non può controllare e di una donna più forte di lui. Anche se gli interpreti ci mettono tutta l'impegno e la buona volontà il film non sta in piedi, incongruenze a parte, è raffazzonato e puerile: una favola per bambini un po' scemi, in altri termini. No, dire, che non ci siamo proprio. 

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