“Romanzo di una strage” di Marco Tullio Giordana. Con Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Michela Cescon, Laura Chiatti, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio, Giorgio Colangeli, Omero Antonutti, Giorgio Tirabassi e altri. Italia 2012 ★★★¾
E' un film importante, quello di Giordana, e necessario. Un ritorno a quel cinema civile di cui uno dei campioni fu Francesco Rosi, a cui l regista milanese si ispira, e che si spera non sia episodico nel panorama italiano, che pure abbonda di storie da sviscerare, trame oscure, vergogne che il potere in generale e la politica in particolare si rifiutano di affrontare e su cui la giustizia, come nel caso della strage di Piazza Fontana affrontata nella pellicola, non è in grado di fare chiarezza. Dopo 43 anni (titolo dell'e-book con cui Adriano Sofri contesta le tesi del saggio di Paolo Cucchiarelli a cui in parte Giordana si si ispira, non facendo a sua volta chiarezza) di sicuro rimangono una ferita aperta, i depistaggi, la giustizia denegata, i depistaggi e le devianze di intere parti dello Stato: questo dice il film, lasciando aperte alcune ipotesi su come si svolsero i fatti. Ma il nocciolo del film non consiste soltanto in una possibile ricostruzione dei fatti ma anche in quella di un'epoca cruciale per la storia del Paese, di cui ricrea l'atmosfera sia nei personaggi sia nell'ambientazione (precisa a parte alcune sbavature: clamorosa quella che fa viaggiare il commissario Calabresi verso Gorizia su una carrozza di terza classe, che le FFSS abolirono nel 1956, ma anche la manifestazione del 19 novembre 1969 in cui morì l'agente Annarumma, girata in Corso Monforte anziché in Via Larga, davanti al Teatro Lirico) che per chi come me viveva a Milano e quel 12 dicembre era a non più di 500 metri da Piazza Fontana ha riprodotto le stesse sensazioni di spaesamento, paura, tensione seguite alla strage. L'aria che tirava era quella, e la certezza che si stessero vivendo momenti cruciali. Ottimi tutti gli interpreti: Favino è un Pinelli come era il "Pino", Michela Cescon magnifica nei panni della moglie Lidia, Mastandrea un Calabresi credibile, Antonutti un Saragat perfetto ma un monumento bisogna farlo a Fabrizio Gifuni per come ha impersonato Aldo Moro. Tutti bravissimi, anche se rimango convinto che Laura Chiatti, nella parte di Gemma Calabresi, sia più convincente come cantante che come attrice.
E' un film importante, quello di Giordana, e necessario. Un ritorno a quel cinema civile di cui uno dei campioni fu Francesco Rosi, a cui l regista milanese si ispira, e che si spera non sia episodico nel panorama italiano, che pure abbonda di storie da sviscerare, trame oscure, vergogne che il potere in generale e la politica in particolare si rifiutano di affrontare e su cui la giustizia, come nel caso della strage di Piazza Fontana affrontata nella pellicola, non è in grado di fare chiarezza. Dopo 43 anni (titolo dell'e-book con cui Adriano Sofri contesta le tesi del saggio di Paolo Cucchiarelli a cui in parte Giordana si si ispira, non facendo a sua volta chiarezza) di sicuro rimangono una ferita aperta, i depistaggi, la giustizia denegata, i depistaggi e le devianze di intere parti dello Stato: questo dice il film, lasciando aperte alcune ipotesi su come si svolsero i fatti. Ma il nocciolo del film non consiste soltanto in una possibile ricostruzione dei fatti ma anche in quella di un'epoca cruciale per la storia del Paese, di cui ricrea l'atmosfera sia nei personaggi sia nell'ambientazione (precisa a parte alcune sbavature: clamorosa quella che fa viaggiare il commissario Calabresi verso Gorizia su una carrozza di terza classe, che le FFSS abolirono nel 1956, ma anche la manifestazione del 19 novembre 1969 in cui morì l'agente Annarumma, girata in Corso Monforte anziché in Via Larga, davanti al Teatro Lirico) che per chi come me viveva a Milano e quel 12 dicembre era a non più di 500 metri da Piazza Fontana ha riprodotto le stesse sensazioni di spaesamento, paura, tensione seguite alla strage. L'aria che tirava era quella, e la certezza che si stessero vivendo momenti cruciali. Ottimi tutti gli interpreti: Favino è un Pinelli come era il "Pino", Michela Cescon magnifica nei panni della moglie Lidia, Mastandrea un Calabresi credibile, Antonutti un Saragat perfetto ma un monumento bisogna farlo a Fabrizio Gifuni per come ha impersonato Aldo Moro. Tutti bravissimi, anche se rimango convinto che Laura Chiatti, nella parte di Gemma Calabresi, sia più convincente come cantante che come attrice.
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