"Il primo uomo" (Le premier homme) di Gianni Amelio. Con Jacques Gamblin, Maya Sansa, Catherine Sola, Denis Podalydès, Nino Jouglet e altri. Italia, Francia, Algeria 2001 ★★★★+
Nessuno meglio di Gianni Amelio avrebbe potuto rendere in immagini il libro postumo di Albert Camus, a cui il grande scrittore, saggista e filosofo francese, uno di più importanti, e indipendenti, intellettuali del secolo passato, stava lavorando al momento della prematura morte, nel 1960, a soli 47 anni. Un romanzo fortemente autobiografico che racconta del ritorno nella natìa Algeria di Jacquest Colmery, alter ego di Camus, alla vigilia della guerra d'indipendenza, dalla Francia, dove è al culmine del successo, per cercare di convincere gli studenti che lo avevano invitato a tenere delle conferenze che una convivenza, tra arabi e francesi, non solo è possibile, ma auspicabile. Invano, come dimostreranno gli eventi storici. Ma non si tratta soltanto di questo, perché il viaggio in Algeria diventa anche l'occasione della riappropriazione delle proprie radici, rivisitando i luoghi e le persone della propria infanzia, dalla nonna dittatoriale alla madre rimasta vedova allo zio minorato ma affettuoso, fondamentale per il suo equilibrio; dal maestro che gli ha consentito di proseguire gli studi ai vicini e compagni di scuola arabi, il tutto alla ricerca di ricordi della figura del padre, morto sulla Marna nel 1914, appena iniziata la Grande Guerra, che lo lasciò orfano a pochi mesi. Perché in ogni bambino si trovano i germogli dell'uomo che sarà. Ed è sempre un unico, quindi un "primo" uomo, nella visione di Camus, che sempre ha parlato dell'uomo e della sua rivolta contro l'assurdità della vita, più che dell'umanità in generale, e della solidarietà tra individui come modo per darle un senso. Colmery la praticherà, spendendo tutta la sua influenza per far liberare il figlio di un suo vecchio compagno di scuola arabo, che pure non accettò mai la sua amicizia, figlio diventato membro del FLN e condannato a morte, ma invano: come invano cercherà di convincere sua madre a seguirlo in Francia ora che la situazione in Algeria si sta facendo più pericolosa, ma la anziana donna gli risponde che "la Francia è bella, però non ci sono gli arabi", e quindi resterà dov'è nata e sempre vissuta e lui non insisterà: la capisce. Perché l'Algeria è anche il suo Paese, col suo sole, il suo mare, i suoi colori e odori e la sua gente. Che Amelio, calabrese e con un'infanzia per certi aspetti simile a quella del protagonista, rende come meglio non si potrebbe, assieme all'ambientazione d'epoca, non dissimile da quella dell'Italia meridionale di 60 anni fa. Un gran bel film, con bravissimi attori, da non perdere.
Nessuno meglio di Gianni Amelio avrebbe potuto rendere in immagini il libro postumo di Albert Camus, a cui il grande scrittore, saggista e filosofo francese, uno di più importanti, e indipendenti, intellettuali del secolo passato, stava lavorando al momento della prematura morte, nel 1960, a soli 47 anni. Un romanzo fortemente autobiografico che racconta del ritorno nella natìa Algeria di Jacquest Colmery, alter ego di Camus, alla vigilia della guerra d'indipendenza, dalla Francia, dove è al culmine del successo, per cercare di convincere gli studenti che lo avevano invitato a tenere delle conferenze che una convivenza, tra arabi e francesi, non solo è possibile, ma auspicabile. Invano, come dimostreranno gli eventi storici. Ma non si tratta soltanto di questo, perché il viaggio in Algeria diventa anche l'occasione della riappropriazione delle proprie radici, rivisitando i luoghi e le persone della propria infanzia, dalla nonna dittatoriale alla madre rimasta vedova allo zio minorato ma affettuoso, fondamentale per il suo equilibrio; dal maestro che gli ha consentito di proseguire gli studi ai vicini e compagni di scuola arabi, il tutto alla ricerca di ricordi della figura del padre, morto sulla Marna nel 1914, appena iniziata la Grande Guerra, che lo lasciò orfano a pochi mesi. Perché in ogni bambino si trovano i germogli dell'uomo che sarà. Ed è sempre un unico, quindi un "primo" uomo, nella visione di Camus, che sempre ha parlato dell'uomo e della sua rivolta contro l'assurdità della vita, più che dell'umanità in generale, e della solidarietà tra individui come modo per darle un senso. Colmery la praticherà, spendendo tutta la sua influenza per far liberare il figlio di un suo vecchio compagno di scuola arabo, che pure non accettò mai la sua amicizia, figlio diventato membro del FLN e condannato a morte, ma invano: come invano cercherà di convincere sua madre a seguirlo in Francia ora che la situazione in Algeria si sta facendo più pericolosa, ma la anziana donna gli risponde che "la Francia è bella, però non ci sono gli arabi", e quindi resterà dov'è nata e sempre vissuta e lui non insisterà: la capisce. Perché l'Algeria è anche il suo Paese, col suo sole, il suo mare, i suoi colori e odori e la sua gente. Che Amelio, calabrese e con un'infanzia per certi aspetti simile a quella del protagonista, rende come meglio non si potrebbe, assieme all'ambientazione d'epoca, non dissimile da quella dell'Italia meridionale di 60 anni fa. Un gran bel film, con bravissimi attori, da non perdere.
Nessun commento:
Posta un commento