MIRI (Sarawak) - Quando
mi sono reso conto che nemmeno i cinesi, con i loro scatenati
festeggiamenti per il Capodanno (secondo il calendario lunare) sarebbero
riusciti a scuotere la flemmaticità e il rigore analcolico del Brunei, e
non essendo rimasto nient'altro da vedere nel Sultanato, ho deciso di
assistere al pandemonio che avrebbero scatenato in una città normale,
che si trova a pochi chilometri dal confine, nella parte nordorientale
del Sarawak che è Miri. Sette ore per una tratta di poco più di 150
chilometri, con quattro cambi di bus, due ore d'attesa durante uno di
questi, una traversata di fiume su una bagnarola che ha dovuto fare due
viaggi per trasbordare una quindicina di espatriandi, un'altra mezz'ora
all'ufficio emigrazione del Brunei, in attesa che la funzionaria di
turno al controllo passaporti si degnasse di raggiungere il bancone dove
apporre, con infastidita indolenza, il sospirato timbro d'uscita, ma
alla fine ne è valsa la pena. Come era d'aspettarsi, tutta la parte
commerciale della città era pavesata a festa, coi consueti lampioni di
carta rossi, festoni, pupazzi, immagini di bufalo/toro (il segno
zodiacale del nuovo anno), il tempio principale addobbato, alle sue
spalle una batteria impressionante di razzi e petardi; altre postazioni, formato famiglia,
su quasi tutti i tetti delle case e anche agli angoli delle strade: con
una contraerea del genere per i bombardieri NATO sarebbero stati
problemi, durante le sciagurate incursioni del 1999! Purtroppo soltanto
dal primo pomeriggio a oggi si sono scatenati almeno 10 acquazzoni, di
durata variabile ma mai di durata inferiore alla mezz'ora, alcuni dei
quali di una violenza rara.Tutti rifugiati nei grandi ristoranti,
soprattutto di pesce, con enormi acquari da cui scegliere la pietanza
ancora viva, all'uso cinese, e da un'ora prima della mezzanotte fino a
un'ora dopo si è scatenato letteralmente l'inferno. E birra a fiumi, ma
anche whisky: quando c'è da darci dentro, i figli del Celeste Impero
non scherzano. Fuochi d'artifico del genere li ho visti raramente, non
riesco a immaginarmi cosa siano capaci di fare a Hong Kong, Shanghai o
Pechino. Questa mattina regnava il deserto, come da noi il primo
dell'anno o il giorno di Ferragosto. Per rendere l'idea del peso
economico della comunità cinese, numerosa ma comunque fortemente
minoritaria, in una città di medie dimensioni come questa, oltre agli
uffici pubblici e alle banche chiusi, cosa anomala in un Paese
musulmano, al mercato centrale era in funzione una postazione su dieci,
qualcuna in più a quello del pesce mentre erano al completo quelle del
lindo e ordinatissimo Tamu Muhibbah, presidiato dai dayak che vengono in città a vendere frutta e ortaggi di loro produzione. In fianco, sul lungofiume, il tempio buddhista del Tua Pek Kong (nella foto sopra a destra un dragone con palla),
avvollto in una possente nube di incenso, affollato fino
all'inverosimile di cinesi che oltre a rendere omaggio a divinità e
posteri bruciano in una fornace i ricordi cartacei, così mi è sembrato
di capire, dell'anno passato: calendari, agende. Colore predominante il
rosso: chiunque indossava almeno un capo d'abbigliamento di questo
colore: non ho avuto modo di verificare se la regola valesse gli
indumenti intmi. Miri, oggi 270 mila abitanti, era un borgo di pescatori
su un lato dell'estuario del fiume omonimo che si è trasformata in
centro industriale,
commerciale e di servizi a traino dell'industria petrolifera, che si
sviluppò proprio qui dopo la scoperta dei primi giacimenti nella
Malaysia nel 1910: il primo pozzo, il Grand Old Lady, sulla Canada Hill, alle spalle del centro (qui a sinistra) disattivato nel 1972, è oggi monumento nazionale e qui sorge l'interessantissimo Petroleum Museum. A sottolinearne l'imprortanza, nel 2005 Miri ha ottenuto lo status
di città, primo caso di centro che non fosse la capitale di uno dei
tredici Stati della Federazione. Non è una bella città, il che è ovvio
considerata la sua vocazione, ma si è pure inventata una vena turistica
insospettata valorizzando alcune spiagge belle e ben curate nelle
immediate vicinanze, parchi perfettamente attrezzati con strutture
sportive e piscine (l'esatto contrario della tanto reclamizzata Labuan,
su cui il governo centrale ha investito molto e male, come ho
ricordato), e come base per le escursioni nei vicini parchio nazionale
di Gunung Mulu (Patrimonio dell'Umanità), Niah Caves, Lambir Hills e
Similajau. Peccato soltanto per il monsone che imperversa, quest'anno in
modo più "tropicale" del solito, mi dicono. Nel senso che qui
all'Equatore normalmente i fenomeni non sono così violenti, e ripetuti.
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