YOGYAKARTA – Capitale di Giava Centrale, a 30 chilometri dalla costa che si affaccia sull'Oceano Indiano, Yogya,
come viene più spesso chiamata, è l'anima dell'isola e anche la sua
meta turistica più importante; la città dove si parla la lingua
giavanese più pura, il centro culturale e il luogo dove si conservano
più gelosamente le tradizioni, dall'artigianato batik
all'argenteria, alle danze note come “Balletti Ramayana”. Da sempre
emblema della resistenza al potere coloniale e culla dell'indipendenza,
Yogyakarta è tutt'ora governata dal proprio sultano, avendo ottenuto lo
status di regione speciale. Coi suoi 450 mila abitanti, per quanto
affollata e percorsa da un traffico delirante come ogni città
indonesiana, Yogya è
relativamente piccola per gli standard locali, ma anche la più
gradevole e meglio conservata di quelle che ho visitato finora. Il
centro urbano si sviluppa attorno alla stazione ferroviaria (come
dappertutto un autentico gioiello gioielli, sorprendentemente ben
tenuta e di un nitore incredibile), che come spesso accade taglia a metà
la città in senso longitudinale, e gravita su Malioboro,
questa la traslitterazione in idioma indigeno della strada dedicata al
Duca di Marlborough, la via principale, che in senso perpendicolare alla
linea ferroviara porta dopo un paio di hilometri dritta al Kraton,
l'antico palazzo fortificato del sultano che è la più famosa attrazione
di Yogyakarta. Questo, a sua volta, è il cuore di una vera e propria
cittadella cinta da mura (foto in alto a sinistra), abitata a
tutt'oggi da circa 25 mila persone, con una pianta ortogonale,
perfettamente conservata, pulita, piena di attività ma dove il traffico
automobilistico è notevlmente ridotto e la vita stessa prende i ritmi
del kampung,
villaggio, che è alla fine ancora oggi la struttura base della società e
che gli indnesiani tendono a riprodurre anche nelle grandi città, dove
non a caso assume grande importanza e anche un rilievo amministrativo il
quartiere, che ne è per molti versi la replica. Il kraton risale alla fondazione della città, che è piuttosto recente, da
parte de parte del principe Mangkubumi nel 1755, il quale dopo la
disgregazione dei regni di Giava e Mataram che avevano dominavato sulla
parte centrale dell'isola prima dell'arrivo degli olandesi, ritornò
all'antica sede di Mataram dando inizio alla costruzione della
cittadella. Un suo discendente, Diponegoro, a cui era stata negata la
successione, tra il 1825 e il 1830 scatenò senza successo la sanguinosa
Guerra di Giava, di cui Yogyakarta fu il fulcro, contro gli olandesi che
appoggiavano la corte e l'altro candidato a sultano; più recentemente,
nel 1948, quando la città venne nuovamente occupata dagli olandesi, il
sultano si asserragliò nel kraton
permettendo ai ribelli di usare il palazzo come quartier generale della
resistenza. Gli occupanti non osarono attaccarlo, perché il sultano era
considerato una specie di divinità dai giavanesi, e proprio l'appoggio
della causa da parte del sovrano fu il motivo per cui a Yogyakarta venne
concesso lo statuto di regione speciale al raggiungimento
dell'indipendenza. Oltre al kraton, fra le mura della cittadella si trovano anche il Pasar Ngasem, lo stupefacente e varipointo mercato degli uccelli (foto in alto a destra) dove sono in vendita anche altri animali oltre, in una zona distinta, prodotti ortofrutticoli, e il Castello d'Acqua (Taman Sari, in fianco a sinistra) un complesso costruito in contemporanea col kraton costituito
da un bel parco, palazzi, piscine, percorso da canali che, come
struttura, mi ha fatto ricordare, in sedicesimo, l'Alhambra di Granada,
progettato da un architetto portoghese che si narra fu ucciso perché non
rivelasse i segreti delle stanze più inaccessibili dedicate ai
trastulli del sovrano con le sue favorite. In città ci sono alcuni musei interessanti, a cominciare dal Sono-Budoio che espone una notevole collezione di arte giavanese, tra cui le tipiche marionette, le maschere, i batik, i coltelli kris e il Benteng Vredeburg, un forte olandese oggi opportunamente sede del museo dedicato al movimento per l'indipendenza. Notevole il Pasar Beringhario,
il mercato principale, fendere la cui folla costituisce un esercizio di
pazienza e autocontrollo che rasenta il raggiungimento del Nirvana. In città imperversa il batik:
negozi e botteghe a decine, e volendo si può partecipare a dei corsi
per apprendere i rudimenti della tecnica, mentre Kota Gede, che fu la
prima sede del regno di Mataram e oggi è un sobborgo di Yogyakarta a
pochi chilometri dal centro, è famosa per la lavorazione dell'argento.
Insomma, la città ha soddisfatto le mie aspettative: una sosta
relativamente rilassante nel frenetico attivismo di Giava,
strategicamente a due passi da Borobudur e Prambanan, i due siti
archeologici più importanti dell'intera Indonesia. Peccato soltanto che
il monsone sia particolarmente attivo in questi giorni.
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