LABUAN - La
"Perla di Labuan" era naturalmente, per chi non se la ricordasse, Lady
Marianna Guillonk, creatura partorita della fervida fantasia di Emilio
Salgari, la sposa di Sandokan, per la quale il fascinoso pirata si era
ritirato dalle sue scorrerie per vivere, un cuore e una capanna, con
l'amata sull'isola di Giava; vita corsara ripresa dopo la prematura
morte della bellissima fanciulla che venne sepolta a Batavia (Jakarta).
Il pirla sono io che, in questo revival salgariano fuori tempo
massimo, non ho potuto esimermi dal ficcare il mio naso anche in questo
posto alquanto insulso. L'isola, situata a 8 km dalla costa del Sabah e
all'imbocco della Baia del Brunei, ha un'estensione di meno di 90 km
quadrati e da un capo all'altro non ci sono più di una dozzina di
chilometri. Ceduta per riconoscenza nel 1846 dal Sultano del Brunei agli
ingesi, è stata per 115 anni sotto il loro controllo a parte i tre di
occupazione giapponese nei primi anni Quaranta. Come a Kota Kinabalu,
del periodo non rimangono tracce, a parte una misteriosa ciminiera e la
copia di una torre d'orologio (completata nel Duemila) sulla spiaggia in
fianco alla quale si sono svolti i fatti più importanti di Labuan: la
cerimonia di presa di possesso da parte britannica a metà Ottocento e lo
sbarco delle truppe del generale Douglas Mac Arthur nel 1945. Hanno a
che vedere con la Seconda Guerra Mondiale il Labuan War Cemetery (sotto a destra),
con le lapidi dei circa 4000 soldati del Commonwealth che persero la
vita in Borneo, e il Peace Park, che sorge nel luogo dove si arresero i
giapponesi e ospita un monumento che ricorda i loro caduti. Poco altro
da vedere, a parte il consueto museo etnologico, uno marino e un Bird Park.
Per il resto il capoluogo sembra una Lignano in bassa stagione e, per
chi la conosce, una via di mezzo tra Pineta e Sabbiadoro. Nemmeno
sgradevole, ma insignificante. Labuan
è territorio federale, governato direttamente da Kuala Lumpur, e
insieme alle altre minuscole isole che la coronano costituisce un
arcipelago che oggi è porto franco oltre che importante centro
petrolifero. L'attività commerciale in regime di esenzione di tasse non
sembra avere molto successo: c'è qualche negozio col consueto
armamentario da duty free, con le loro bottiglie magnum
di superalcolici scadenti ma di marche universalmente conosciute, le
sigarette, i profumi: tutta roba da pubblictà televisiva, ma meno di
quelli che mi aspettavo e, quei pochi, vuoti. Ma sempre meno
desolantemente deserti del faraonico Financial Park, un centro
commerciale multipiano con vista mare pubblicizzato come la principale
attrazione turistica, tanto sfavillante fuori quanto squallido
all'interno, con intere sezioni vuote o in disarmo. Andata buca questa
iniziativa (forse i dirimpettai del Sultanato di Brunei Darussalam sono
davvero così probi da non cadere in tentazioni peccaminose), è in corso
un altro tentativo di riciclare l'isola, sotto il motto Make Labuan Your Second Home:
come la Florida, farne una sorta di paradiso per pensionati, ossia un
cimitero di elefanti. E' in corso da qualche anno e gli esiti mi
sembrano altrettanto penosi come quelli del porto franco. Ci sarebbero
le spiagge, e non sarebbero nemmeno male se fossero almeno un minimo
ripulite e attrezzate. Stamattina mi sono fatto portare a quella più
famosa, segnalata su tutte le mappe e i dépliant: Pohon Batu. Il primo problema
è stato far capire al taxista, cartina alla mano, dove si trovasse. E
questo avrebbe già dovuto mettermi sull'avviso, ma ho insistito: perché
sono un pirla. Ed eccola: almeno due chilometri per lato di spiaggia
orlata di palme. Sabbia dorata? Macché, mucchi di rena bagnata, alberi
divelti, rami, foglie e noci di cocco marci, pattume marino e terrestre,
relitti di imbarcazioni e carcasse di copertoni, opere di
canalizzazione iniziate e mai finite, con spunzoni di ferro che
fuoriescono da cumuli di massi di cemento qua e là; il marciapiede del
lungomare, che pure, eccezionalmente, esiste, è sbrecciato. Intorno
soltanto qualche casupola, la consueta moschea in miniatura, un solo
piccolo emporio nell'arco di tre chilometri: figurarsi un bar o un
semplice chiosco. Qualcuno bivacca, sulla spiaggia, e ci stende i panni.
Evidentemente chi sovrintende al turismo locale preferisce puntare
sulle piccole isole che coronano Labuan, le cui acque celano quattro
relitti di navi affondate dalla seconda guerra mondiale in poi, e tra i
cui rottami si è sviluppata una vita marina paragonabile a quella di una
barriera corallina sana e particolarmente rigogliosa. Un paradiso per i
subacquei, a una profondità accessibile. Ma non ho osservato grande
movimento in questo senso al porto, né ho notato la presenza di divers
sull'isola. Né di molti altri visitatori stranieri. Siccome la
trascuratezza delle spiagge è una costante nel Sud-Est asiatico, con
l'eccezione della Thailandia, mi sono fatto una personale idea dei
motivi pensando al rapporto che le popolazioni locali hanno con
l'elemento liquido. Per i cinesi, motore di ogni iniziativa che abbia un
risvolto economico, il mare è soltanto un contenitore di pesci, al più
una discarica, e per le loro donne la vita di spiaggia equivale a una
bestemmia, terrorizzate come sono dal sole e dal pericolo che possa
deturpare il candore madreperlaceo e malaticcio del loro incarnato
(forse in onore della vecchia massima faccia smorta...),
preservato a qualsiasi costo, anche in spregio al ridicolo, con tanto di
mascherine sul volto, cappelli a falde larghe, occhialoni da sole,
calzerotti e guanti lunghi fino all'avambraccio (di notte, poi girano
seminude); i musulmani, dal canto loro, hanno costumi incompatibili con
la balneazione: rimangono i malesi, che non hanno di queste fisime e per
i quali mare e spiaggia sono strumenti e luoghi di lavoro, spesso duro,
così come i pescherecci, a loro volta di proprietà dei cinesi, per i
quali prestano la loro opera: al più in spiaggia ci abitano, in mancanza
di altri alloggi, in tutta disinvoltura piantandoci una tenda o
costruendoci una baracca. E fanno bene. Per quanto riguarda il turista
balneare, è meglio che si rivolga alle strutture organizzate, ai resort presenti
in alcune zone ben conosciute della Malaysia, come le Isole Perhentian o
Langkawi, o dell'Indonesia, in primo luogo Bali, prima di rimanere
deluso, altrimenti è meglio che lasci perdere. Se non altro a Labuan non
si sono ancora fatti venire l'idea di lanciare i casinò: un vero inno
all'imbecillità umana, frequentato di conseguenza, che svolgono però, a
loro modo, un ruolo educativo: spennare il grullo e possibilmente
rovinarlo a vita neutralizzandolo definitivamente.
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