sabato 24 gennaio 2009

Bandar Seri: la Pordenone del Borneo


Brunei Sultan 60 Birthday MonumentBANDAR SERI BEGAWAN (Brunei) Sua Maestà Paduka Seri Bagida Sultan Haji Hassanal Bolkiah Mu'izzaddin Waddaullah Ibnu Al-Marshum Sultan Haji Omar Ali Saiffuddien Sa' Adulkhairi Waddien, Sultan dan Yang Di-Pertuan Negara Brunei Darussalam: questo il nome di quello che è stato per anni l'uomo più ricco del mondo, e tutt'ora tra i primi posti in questa classifica, che guida il Brunei fin da quando, nel 1967, a soli 21 anni succedette al padre dimissionario. Anche lui (a destra il monumento che celebra il suo 60º compleanno, anche se sembra una pubblicità del Seven Up), come il nostro puttaniere del Consiglio, è sostanzialmente un dandy, vuole essere amato a tutti i costi, ha un fratello più giovane e perfino più pirla che combina disastri (il principe di qui, Jefri, in qualità di ministro delle Finanze a suo tempo aveva lasciato un buco per Mosque Bandar Seri by Caoimhe Gqualcosa come 16 miliardi di dollari: in confronto anche il vecchio bamboccione Pàoa S-ciopà e Tremonti sono dei dilettanti), ma è infinitamente più ricco, più bello, più alto (pur essendo la media degli asiatici di qui abbastanza modesta), più colto e più glamour, oltre ad avere dieci anni di meno e un nome più lungo di quello già abbastanza intorcolato di Silvio Berlusconi detto Mammaorsa il Piangina. Che per ora quarant'anni di governo consecutivi se li sogna, a meno di non tormentarci fino al suo 110º genetliaco. Il Brunei dal 1888 era stato un protettorato della Gran Bretagna; nel 1929 quando vi fu scoperto il petrolio, Omar Saiffuddien, il padre dell'attuale sultano (a lui è dedicata la moschea nelle due foto) preferì non aderire alla Confederazione Malese affinché i proventi rimanessero sul proprio territorio, con la benedizione inglese e della Shell, e la stessa situazone di ripetè nel 1962 al momento di aderire alla Malaysia, operazione che non andò in porto sempre con l'appoggio dei medesimi tutori. La piena indipendenza giunse nel 1984, con scarso entusiasmo da parte del sultano Hassanal Bolkiah, che fino al 2004 ha continuato a regnare sul Paese sulla base di una legislazione d'emergenza in vigore per oltre 40 anni, con una tendenza sempre più marcatamante intergalista, e solo ora sta aprendosi a cautissime riforme politiche. Il legami con la Gran Bretagna rimangono strettissimi e la tutela della onnipotente Shell è garantita da qui all'eternità. Sultan Omar Ali Saifuddein III MosqueIl buon Hassanal Bolkiah sarà anche un sovrano paternalista e con qualche tendenza al dispotismo, però l'analfabetismo è praticamente inesistente, le scuole sono tante e dappertutto: belle, ariose, semplici, e soprattutto gratuite, così come l'assistenza sanitaria e la frequentazione di centri per il tempo libero e le attività sportive; i sudditi non pagano imposte sul reddito, godono di sovvenzioni anche per acquistare un'automobile, e di prestiti a tassi d'interesse irrisori; hanno la pensione garantita, la settimana lavorativa breve, il salario minimo più elevato di tutto il Sud-Est asiatico e, non a caso, un'aspettativa di vita di 77 anni: abbastanza ovvio che siano contenti e non abbiano granché di cui lamentarsi. La loro giovialità, amichevolezza e disponibilità sono gli aspetti più gradevoli di questo Paese. Bella forza, si obietterà, visto che navigano in mezzo al petrolio: ma non mi risulta che capiti lo stesso in Nigeria o nel Venezuela socialisteggiante del compañero Hugo Chavez. Bandar Seri Begawan, al di là del nome esotico, è un paesone di due strade e poi il nulla di cinqantamila abitanti alla testa di uno Stato che ne ha 350 mila in tutto. Un Paese che per la sua insulsaggine mi ha ricordato il Belize, dove le villette hanno l'aspetto di quelle alle periferie americane popolate dai vorrei-ma-non-posso, e la cui capitale, per il numero di abitanti e con le sue architetture pretenziose, incongrue e lo squallore urbano realsocialisteggiante, mi ha fatto venire in mente il capoluogo della provincia in cui vivo, Pordenone, con la quale ha in comune un altro aspetto demenziale: come questa non ha uno sbocco al mare, così il Borneo ha il suo territorio diviso in due parti non comunicanti, per una delle consuete trovate degli inglesi. La piazza dove sorgono i complessi commerciali Yayasan, coi suoi portici ciechi, in marmo scivoloso (geniale soluzione per Waater Village di Dan 1897pavimentazione in luoghi dove piove sempre) mi ricorda Piazza Venti Settembre, benché la vista della Moschea di Omar Ali Saifuddien sia sicuramente meglio di quella del Teatro Verdi, già definito con ragione un bidet da un noto critico d'arte; ma l'inconfondibile stile mestrino-babilonese, di cui Pordenone è l'emblema, è il medesimo. Altri spiazzi raccapriccianti ricordano Piazza Risorgimento, detta altresì Piazza Tirana, alcune zone il famigerato e indecente Bronx; anche la viabilità circolare ha qualcosa a che vedere con il ring naoniano e perfino nel lungofiume vedo qualcosa in comune. Come Pordenone, alla cui deturpazione hanno dato il loro fattivo contributo, a diverso titolo ma con effetti ugualmente devastanti svariati esponenti della mia famiglia nel corso di tutto il secolo passato (a alcuni perseverano), si riscatta con Corso Vittorio Emanuele, anche Bandar Seri ha un lato che fa dimenticare tutte le vaccate costruite negli ultimi trent'anni: Kampung Ayer. Si tratta di 28 villaggi, in cui vivono circa 30 mila persone, che si estendono su entrambi i lati del fiume, costruiti alla maniera tradizionale su palafitte, in cui le capanne, spesso colorate in tinte vivaci, generalmente in legno, talvolta parzialmente in lamiera, o anche prefabricati, sono collegate tra loro da un intrico di passarelle, scale, canali; villaggi completamente autonomi, con le loro scuole, ambulatori, stazioni benzina, posti di polizia e caserme dei pompieri, officine,Kampung Ayer di Mellowz ristoranti, bar, centrali elettriche: tutto. In alcuni, quelli più vicini al centro ci si arriva piedi e sono quelli abitati dai più poveri, spesso lavoratori stranieri a basso reddito (tanti filippini) che non posseggono un'imbracazione, che è necessaria invece per raggiungere quelli più distanti: non doveva essere molto diversa, la Venezia delle origni! Mi è tornata in mente una considerazione: i brasiliani, appena vedono un'altura che si erge anche di solo cento metri in mezzo a una pianura non resistono alla tentazione atavica di trasformarla in una favela, retaggio forse degli antenati provenienti dalle Azzorre che dovevano difendersi dagli invasori. Così dev'essere per i malesi: la dimensione del kampung (villaggio) è quella che è loro congeniale e che riproducono in qualsiasi sitazione, anche metropolitana; quando poi c'è l'aqua, ma soprattutto un fiume a disposizione, inevitabilmente assumono la forma di villaggi di palafitte dove la vita comunitaria è la regola. Qui nel Borneo i fiumi, imponenti, non mancano: e sono anc ora oggi le principali vie di comunicazione. Avrò modo di vedere altre longhouse, diffusissime anche nel Kalimantan, il Borneo indonesiano, in cui un'intera comunità vive in una sola struttura, scendendo la costa del Sarawak di ritorno verso Kuching nei prossimi giorni. Intanto mi unisco ai cinesi, piuttosto al coperto e stranamente silenziosi in questa città rigorosamente analcolica, nell'augurare a chi legge buon passaggio nell'anno del bufalo, o del toro, a seconda dei gusti!

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