KAPIT (Sarawak) –
Il maltempo che ha imperversato in questi giorni sulla parte
settentrionale del Borneo mi ha costretto a rivedere i piani di fermarmi
a Bintulu, 170 km a Sud-Ovest di Miri e arrivare via terra a Belaga,
nell'interno, lungo l'alto corso del Batang Rejang, il fiume lungo 640
chilometri che costituisce l'arteria più importante del Sarawak, per
scenderlo fino a Sibu, dove sfocia nel Mar Cinese Meridionale. Nemmeno i
fuoristrada che collegano la zona di Belaga alla strada costiera
battendo gli sterrati utilizzati per il trasporto del legname erano in
grado di percorrere il tratto in tempi ragionevoli, e in effetti i fiumi
sono gonfi d'acqua, gli straripamenti e allagamenti in città come nelle
campagne all'ordine del giorno, il pericolo di frane elevato, per cui
sono sceso a più miti consigli e in sette confortevoli ore di bus sono
arrivato a Sibu per risalire il fiume almeno fino a Kapit. Sibu, che
sorge sulla confluenza del Rejang con l'Igan, a sessanta chilometri dal
mare, è la porta d'accesso al Batang Rejang e il punto di raccolta di
tutte le merci provenienti dall'interno, principalmente legname. E si
tratta di un'industria e di un commercio estremamente floridi: Il
Sarawak è il maggiore esportatore di legno tropicale al mondo, il giro
d'affari stimato è di due miliardi di dollari all'anno, per non parlare
di quello legato al disboscamento illegale, che a fatica si sta tentando
di arginare. Duecentomila abitanti, città vivace, moderna e funzionale,
era chiamata New Foochow (Fujian) a causa della presenza di numerosi
immigrati cinesi di quella regione giunti all'inizio del '900, a cui si
sono poi aggiunti melanau, malesi e iban.
Anche qui l'impronta cinese è forte quanto a Miri, e i festeggiamenti
per il Capodanno, con relativa chiusura dei buona parte degli esercizi
commerciali, non sono ancora cessati. Quello che rimane sempre attivo,
in un andirivieni incessante di barche e navi di
tutti i tipi, è il porto fluviale. Con un battello espresso, dotato di
un paio di motori da TIR, in nemmeno tre ore, e senza scosse, si arriva a
Kapit, 120 chiometri risalendo la corrente, facendo tappa a Kanowit e
Song, centri che si affacciano sul fiume e nei cui dintorni si trovano
un buon numero di longhouse (foto a sinistra), le tradizionali abitazioni degli indigeni del Borneo (qui soprattutto gli iban, i dayak e, risalendo il fiume, i kayan, kejaman e lahanan), enormi strutture su palafitte generalmente costruite in legno, ma oggi anche in muratura e con tutti i comfort,
in cui un'intera comunità vive sotto lo stesso tetto: in camere bensì
separate ma affacciate su una lunghissima veranda comune (in basso, a destra).
Già altre volte mi ero soffermato sulla tendenza, in Malaysia come in
Indonesia, da parte delle popolazioni originarie di riprodurre il
villaggio, in ogni possibile circostanza, anche urbana; qui nel Borneo,
dove il contatto con la natura è ancora più forte e vivo, le tradizioni
più tenaci
e i legami famigliari più saldi, questa forma di vita comunitaria
ancora oggi funziona perfettamente e non entra in contrasto violento con
la modernità, anzi: l'impressione è che vi si amalgami piuttosto
armoniosamente. Kapit, meno di diecimila anime, è il capoluogo della
provincia pìu estesa del Sarawak, che comprende anche i distretti di
Belaga a monte e Song a valle, e si è sviluppata attorno al Fort Sylvia,
eretto nel 1880 dalla dinastia dei Brooke (e intitolato alla consorte
di Charles Vyner, il terzo della stirpe) per garantire la pace nella
zona dove si erano già strabiliti gli iban, in perpetua guerra con altre
tribù più a Nord, e il controllo del territorio del corso superiore del
Rejang, pace infine raggiunta e celebrata nel 1924. A seguito dei rajah bianchi, anche qui numerosi coloni cinesi che hanno preso in mano il commercio. Il forte, costruito in legno belian,
durissimo e indistruttibile, ha retto a ogni tipo di intemperia,
compresa un'alluvione nel 1934 che l'ha mandato sott'acqua per due
metri, ed è oggi sede di un piccolo ma interessante museo che illustra
tutta la storia dei luoghi. Oggi come in passato Kapit assolve a
importanti funzioni amministrative nonché essere punto di incontro e
scambio per tutte le comunità insediate nel corso superiore del Batang
Rejang. Cuore della cittadina, ovviamente il grande mercato centrale, Pesar Teresang,
appena sopra gli imbarcaderi intensamente trafficati di ogni genere di
merce fin dalle prime luci dell'alba, e quando questo sbaracca, al
tramonto, eccolo sostituito da quello notturno, arricchito da bancerelle
gastronomiche che tornano parecchio utili in questi giorni, perché
anche qui il Capodanno cinese prosegue imperterrito, e la maggior parte
degli esercizi commerciali è tuttora chiusa e le attività riprendono a
rilento: oggi era la giornata delle danze dei dragi e delle tigri di
cartapesta, manovrati da tre o anche quattro ragazzi agili come acrobati
a renderne le forme e i movimenti, anche stando
in equilibrio fino a tre uno sull'altro, al ritmo di una sarabanda di
tamburi e piatti, per fare ingresso nel tempio. All'esterno, la consueta
batteria di mortaretti e petardi e canne di bambù fumanti riempite
d'ìincenso. Da basso, maestoso e possente, scorre il Batang Rejang, la
vena aorta del Sarawak.
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