SOLO – Ad
appena 65 chilometri da Yogyakarta, da cui è comodamente raggiungibile
in treno, Solo, chiamata anche Surakarta, è l'altra culla della cultura e
delle tradizioni giavanesi. Con oltre mezzo milione di abitanti, è più
popolata della più famosa Yogya, ma infinitamente meno affollata e le sue maggiori attrazioni, i due palazzi del Puri Mangkunegaram e il Kraton,
non hanno nulla da invidiare a quelle della sua vicina. Solo fu fondata
nel 1745 da Pakubuwono II, dieci anni prima di Yogyakarta, in seguito
alla distruzione di Kotosuro, la vecchia capitale del regno di Mataram,
ma i suoi successori non riuscirono a evitare la conquista di metà dei
loro territori da parte della città rivale, finché nei primi decenni del
Novecento Pakubuwono X non riuscì a ridare prestigio alla propria
dinastia, promuovendo la cultura, in particolare le arti e la musica, ed
evitando di farsi coinvolgere in dispute con altri sovrani. Una scelta
di neutralità e per il quieto vivere che però, dopo la fine della
Seconda Guerra Mondiale, favorì ancora una volta Yogyakarta, che invece
era diventata il simbolo e uno degli epicentri della lotta per
l'indipendenza. Il Kraton sorge su un estremo dell'Alun Alun, il
vasto spiazzo erboso di forma quadrangolare tipico delle città
indonesiane; sul lato opposto a quello dove si trova il mercato degli
orafi, mentre su quello a Est si affaccia la moschea Agung. Intorno e
dietro al Kraton vero e proprio, come a Yogyakarta si
estende una cittadella tutt'ora cinta da mura e dotata di planimetria
ortogonale. Il cuore del palazzo è costituito da una serie di padiglioni
di forma quadrangolare, aperti sui lati, col tetto a forma di pagoda mozzata, e i pavimenti in marmo italiano, di cui il più grande, il pendopo,
fungeva da sala delle udienze o di cerimonie, con alle sue spalle il
palazzo vero e proprio, sempre ad un piano e disposto attorno a un
patio, però non accessibile. Il Kraton è stato in buona parte ricostruito dopo un devastante incendio avvenuto nel 1985, che aveva però lasciato intatto il Panggung Songgo Bowono (foto in alto a sinistra),
un curioso ibrido tra un incongruo faro e una torre-orologio di foggia
olandese dipinto di bianco e d'azzurro come il porticato che circonda
gli edifici oggi adibiti a museo. Secondo me più interessante e più
sontuoso, seppure meno imponente, il Puri Mangkunegaran,
in cui ha sede il ramo secondario della dinastia di Solo, che vive a
tutt'oggi nel palazzo. Probabilmente anche per questo motivo è tenuto
molto meglio del Kraton. Fu eretto nel 1757 dopo una
furibonda lotta tra Pakubuwono II e il nipote Raden Mas Said, tra
l'altro antenato della defunta moglie dell'ex presidente indonesiano
Suharto. Pur trattandosi di un suri, ossia palazzo, ha la medesima struttura di un kraton, che propriamente è la sede dei regnanti: manca, attorno, la cittadella fortificata. Davvero notevole è il museo del palazzo, i cui pezzi esposti, eterogenei e che
spaziano dai costumi per le danze rituali giavanesi a gioielli, monete,
porcellane, cristalli e argenteria provenienti da tutto il mondo, con
prevalenza di manufatti olandesi, italiani e belgi, appartenevano per la maggior parte alla collezione personale di Mangkunegara VII, il nonno
dell'attuale principe, che è il IX della serie, ha 57 anni e possiede
uno splendido cacatua bianco di 52 con cui ho stretto amicizia. E, da
quello che ho potuto vedere, abita in una dimora semplice ma bellissima,
piena di verande e contornata da un giardino splendido. Nel pendopo, uno dei più grandi dell'Indonesia, dal soffitto a volta, sono custodite ben tre batterie di strumenti dell'orchestra gamelan:
una per gli spettacoli di danza, una per le musiche rituali e un'altra
usata soltanto in occasione dei matrimoni. La più antica si chiama Kyay Kanyut Mesem, che significa lasciarsi andare sorridendo.
Questa mattina mi è capitato di assistere a una esibizione di danza: ho
contato venticinque orchestrali, di cui venti addetti a gong, timpani e
xilofoni di varia grendezza, foggia e naturalmente suono: in tutto tra i
60 e gli 80 strumenti diversi; tre a degli strumenti a percussione in
pelle e due agli strumenti a corda; otto cantanti, o coriste, tutte
donne adulte, e otto giovani danzatrici (più in alto, a destra).
Niente di turistico: non erano nemmeno drappegggiate con abiti di scena
dorati e tintinnanti come da iconografia tradizionale, ma abbigliate
con normali sarong stretti in vita da un'ampia fasciatura.
Non ce l'ho fatta a resistere per più di mezz'ora perché tra
l'insopportabile nenia che veniva mormorata, la melodia di una tediosità
infinita e i movimenti al rallentatore delle ballerine stavo cedendo a
un sonno ipnotico, e probabilmente è proprio questo l'effetto desiderato
da un ensemble strumentale che porta il nome di cui
sopra. Per il resto Solo è una città in cui è piacevole girare perché
non si è sopraffatti né dal traffico né dall'insistenza di venditori,
gudatori di becak (trisciò), procacciatori a vario
titolo; le vie principali sono larghe e spesso alberate (e non mancano
le piante i gustosi avocado vedi foto), i maricapiedi per una volta non sono divelti e crivellati da buche, e qui è evidente come la città si composta di tanti kampung
(villaggi) diversi, dall'atmosfera quieta, serena, dove si respira
quasi un'aria di campagna: ognuno ha il suo portale con tanto di arco
d'ingresso con inciso il nome del quartiere. Infine, finora è questo il
posto in cui ho visto i batik di fattura migliore e coi motivi più classici. Oltre a quasi l'intero piano terreno del Pesar Klewer, il mercato principale, dedicato a questo tipo di tessuti, ci sono un'infinità di fabbriche e atelier,
dai piccoli produttori artigianali ai negozi di lusso, che possono
soddisfare qualsiasi richiesta competere con quelli più raffinati
d'Europa.
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