"Piccolo corpo" di Laura Samani. Con Celeste Cescutti, Ondina Quadri, Marco Geromin, Giacomina Dereani, Luca Sera, Anna De Bernardis e altri Italia, Francia, Slovenia 2021 ★★★★
Parafrasando il titolo, quello d'esordio di Laura Samani, regista e sceneggiatrice esordiente nel lungometraggio dopo un paio di "corti", è un piccolo, grande film: una favola dolente, ma non piagnucolosa; essenziale, ma attentissimo ai dettagli; duro come i paesaggi che la protagonista, Agata, deve attraversate nel suo doloroso viaggio, ma pieno di poesia. Siamo all'inizio del secolo scorso e Agata abita in un'isola di pescatori della Laguna Veneta settentrionale (immagino dalle parti di Marano) e nonostante i rituali propiziatori (alcune gocce di sangue della giovane sparse in mare) partorirà morta la sua prima figlia: secondo la tradizione cristiana non è possibile battezzarla e la sua anima è destinata a rimanere in eterno nel Limbo. La ragazza non si rassegna e la perpetua, intenerita, la indirizza verso un vecchio saggio locale che le rivela che in una remota vallata friulana, su per le montagne che si intravedono a Nord, c'è un saltuario dove per un attimo, il tempo di un respiro, si riportano in vita i corpi dei bambini nati morti: giusto il tempo per dare loro un nome e toglierli dal nulla a cui sarebbero destinati. Agata parte di nascosto con in spalla la cassetta che custodisce il corpo della neonata, voga fino alla terraferma e si inoltra in un mondo per lei sconosciuto: già nella boscaglia rischia di perdersi se non incontrasse Lince, un ragazzo ambiguo, che non dice nulla di sé, che le indicherà il cammino verso le montagne. Prima rischia di essere costretta a fare la balia per dei signori locali, ma durante il trasferimento il carro su cui viaggiano viene assalito da un gruppo di briganti la cui capa, accortasi delle condizioni della puerpera, lascia liberi di proseguire lei Lince, col quale Agata stringe un patto: gli darà metà di ciò che contiene la cassetta se lui la scorterà al santuario, che si trova dalle parti di dove è nato lui. Il viaggio e la crescente confidenza fra i due costituiscono la parte centrale del film, che molto deve al modo di raccontare di Ermanno Olmi, maestro nel dipingere quell'Italia rurale che sembra distante anni lice e invece è dietro l'angolo: cento anni non sono molti. E' anche la storia della resistenza di una donna all'idea che continua a esserle insinuata che dimenticherà il dolore perché di figli tanto ne arriveranno altri: per lei quella figlia nata morta è unica, e il dolore resterà invariato finché non potrà darle almeno un nome e liberarla da quel nulla rappresentato dal Limbo, e l'unicità di quella maternità è il fulcro del film, parlato sia in veneto sia in friulano, dialoghi scarni e pertanto comprensibili nel loro senso anche senza la necessità che vengano sottotitolati in italiano. Molto brave le due interpreti, Celeste Cescutti nella parte di Agata e Ondina Quadri in quelli di Lince, ottima la regia della triestina Laura Samani, una giovane autrice da seguire.
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