"Miracoli metropolitani" di Gabriele Di Luca/Carrozzeria Orfeo. Regia di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi. Con Elisa Bossi, Ambra Chiarello, Federico Gatti, Beatrice Schiros, Massimiliano Setti, Federico Vanni, Aleph Viola. Musiche originali di Massimiliano Setti; scenografie e luci di Lucio Diana; costumi di Stefania Cempini. Una coproduzione Marche Teatro/Teatro dell'Elfo/Teatro Nazionale di Genova/Fondazione Teatro di Napoli. Al Teatro PalaMostre di Udine il 4 febbraio 2022. Qui le prossime tappe
Questa volta i "carrozzieri" mantovani, che solitamente vedo al Teatro dell'Elfo di Milano il quale, anche in questa occasione, coproduce il loro spettacolo, sono venuti a domicilio, per una tappa in Friuli, e non potevo farmeli sfuggire, evitandomi così peraltro una trasferta di 800 chilometri complessivi. L'atto unico, della durata di 135' a un ritmo indiavolato che tiene ben desta l'attenzione di una platea finalmente piena, si svolge proprio all'interno di una ex carrozzeria, dove una famiglia sgangherata, come spesso sono quelle dipinte con sarcasmo da questa affiatata compagnia, ha messo in piedi un'impresa che si dedica alla preparazione di cibo per celiaci, in costante aumento assieme al tasso d'inquinamento, contraffazione degli alimenti (guarda caso) e a quello di disoccupazione (ormai giunto al 62%) che affligge il mondo esterno, da cui giungono notizie via radio o TV sempre più allarmanti: le fogne tracimano di rifiuti tossici ed escrementi, la città è invasa da liquami mefitici e la popolazione, sempre più allarmata anche su istigazione di politici irresponsabili che attribuiscono ogni responsabilità agli immigrati e che per distrarre la cittadinanza dai problemi veri si concentra sulla caccia ad essi, è rinchiusa in casa: non per il Covid19, bensì come conseguenza di un modo di produrre e consumare demenziale. In questo universo claustrofobico e non troppo distopico, si muovono otto personaggi (uno è il rider che porta le consegne e non si vede mai: un ex professore universitario libanese): Plinio, un ex chef stellato ridotto a cucinare cibo di merda con materiali di dubbia provenienza; sua moglie Clara, ex lavapiatti ambiziosa e arrivista che vive sui social e dirige la baracca, interpretata dalla instancabile e bravissima Beatrice Schiros; suo figlio di primo letto Igor, emotivamente instabile e disadattato, rincoglionito dai videogiochi; il travolgente Mosquito, un carcerato in semilibertà e aspirante attore che alterna provini alle consegne, Hope, la sguattera, poi aiuto e infine promossa cuoca, un'etiope da passato misterioso che nasconde un segreto; alla congrega si aggiungono Cesare, un ex insegnante aspirante suicida entrato in contatto con Clara per un equivoco nato in internet e, chicca finale, Patty, ma madre di Plinio, un residuato degli anni della contestazione sfociati in quelli di piombo, femminista e militante non pentita. Come sempre con gli "Orfei" è tanta la carne al fuoco, i temi sono d'attualità e ben reali, anche se non se ne parla preferendo deviare l'attenzione sulla pandemia o, come di recente, sulla pantomima quirinalizia o, ancora, lo scemenziario di Sanremo, e vengono affrontati con ironia, sarcasmo, evidenziando i lati grotteschi e la sostanziale solitudine dell'uomo, alla disperata ricerca di un qualcosa a cui aggrapparsi, ultimo ritrovato allo scopo lo smartphone e l'illusione di crearsi un'esistenza parallela e puramente virtuale, per dimenticare la merda che, letteralmente, è sul punto di sommergerci. Tutto in forma di una commedia briosa, spigliata, irriverente, messa in scena da un gruppo assai ben rodato che conosce alla perfezione i meccanismi della comicità e che è sempre un piacere vedere all'opera. Comunque, se si ride molto e a scena aperta, il finale è piuttosto amarognolo e lascia il segno nonché spazio alla riflessione. Bravi.
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