martedì 22 febbraio 2022

Leonora addio

"Leonora addio" di Paolo Taviani. Con Fabrizio Ferracane, Matteo Pittiruti, Dania Marino Dora Becker, Claudio Bigagli, Massimo Popolizio, Nathalie Rapti Gomez, Giulio Pampiglione, Martina Catalfamo, Freddy Drabble. Italia 2022 1/2

E' senz'altro degno di ammirazione che a 91 anni Paolo Taviani, il sopravvissuto della più celebrata coppia di fratelli del cinema italiano, abbia ancora voglia di mettersi dietro la macchina prendendo spunto dalla curiosa vicenda della traslazione delle ceneri di Luigi Pirandello nella natìa Sicilia, cercando di coglierne gli aspetti grotteschi, ciò non toglie che risulti un pippone quasi insopportabile: benché duri soltanto, e per fortuna, 90', non regge la prova orologio, che ho compulsato almeno 10 volte durante la visione della pellicola. Quindi non vi ammorbo a mia volta con il mio pensiero sull'opera dei Taviani e vi rimando a quanto scritto a proposito di Una questione privata. Qui siamo da capo: cinema stantìo, che spesso indulge all’estetica dello squallore facendolo passare come "cinema verità e di impegno civile", l'estetica e l'orizzonte culturale rimane sempre quello del PCI togliattiano (un altro "Migliore", il Palmiro, precursore di quello che è al capo del governo al giorno d'oggi) degli anni Cinquanta e Sessanta, così come l'intento sempre dogmatico, pedantesco e paternalista e l'animo sostanzialmente bigotto. Del resto il catto-comunismo ha tanti punti in comune col clerico-fascismo, benché pretenda di esserne l'opposto: io sono sempre stato convinto di no, e quindi non apprezzo. Pirandello (che peraltro non ho mai amato né capito, quindi colpa mia essermi inflitto la visione di Leonora addio), Premio Nobel per la letteratura nel 1934 e scomparso a Roma due anni dopo, aveva espresso la volontà di venire cremato e di non avere funerali in pompa magna e che le sue ceneri, possibilmente, fossero disperse nelle campagne della terra natìa, in Sicilia. In un primo tempo i suoi resti furono tumulati nel cimitero del Verano a Roma, e lì rimasero custodite durante il periodo bellico; ma subito dopo la guerra un dirigente del Comune di Agrigento fu inviato nella capitale per recuperarle e trasportarle nella città natale dello scrittore, e metà del film racconta del viaggio che fecero, in uno scalcagnato vagone di un treno a vapore, dopo che venne annullato un volo speciale ottenuto da De Gasperi in persona dall'USAF perché gli altri passeggeri si rifiutavano di volare con "il morto a bordo". E dàgli con il luogo comune dell'italiano inguaribilmente scaramantico (ma tanto pitorescou), così come del povero ma bello, dell'immancabile e interminabile scena di ballo, onnipresente in qualsiasi film nostrano, manco fossimo un Paese di scimmie tarantolate, al di là della credibilità di un vagone merci trasformato in sala da ballo con tanto di pianista che suona tipo "saloon", il tutto in bianco e nero che fa tanto vintage e neorealismo (farlocco). L'ultima parte del film, girata invece a colori, si svolge tra la Sicilia e New York ed è la riduzione dell'ultimo lavoro di Pirandello, Il chiodo, che racconta l'omicidio compiuto da un ragazzino siciliano che il padre ha portato con sé a forza, staccandolo dalla madre, il quale ha accoppato con l'oggetto in questione una ragazzina che stava litigando con un'altra: pura masturbazione mentale sull'emigrato involontario e infelice. C'è a chi piace, e allora questo film fa per lui. Paolo Taviani ha mestiere, non c'è dubbio, ed è anche bravo a trovare filmati d'epoca che utilizza specialmente nella prima parte del film; alcuni degli interpreti, a cominciare da Ferracane nella parte del funzionario che recupera i resti e Bigagli nel gustoso cameo del vescovo agrigentino risultano molto efficacie ben scelti, altri meno; alcune sciatteria, come la tedesca alsaziana doppiata da cani sono imperdonabili: eppure in Italia vivono almeno 300 mila persone madrelingua tedesche a cui affidare il compito e altrettante capaci di farlo bene, a invece no. Come se non bastasse la noia infinita del film, sono cose che indispongono ulteriormente. Io, almeno, la vedo così. 

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