"Un eroe" (Qahremān / A Hero) di Asghar Farhadi. Con Amir Jadidi, Sahar Goldust, Mohsen Tanabandeh, Mariam Shahdaei, Sarina Farhadi, Feresteh, Sadre Orafaiy, Ehsan Goodarzi, Alireza Jahandideh e altri. Iran, Francia 2021 ★★★★
Si può stare certi che quando Asghar Farhadi prende in mano una storia, ne cura la sceneggiatura e la traduce in immagini, dopo aver accuratamente individuato gli interpreti a cui affidare i suoi personaggi, il risultato non tradisce le aspettative che, trattandosi del maestro iraniano, sono altissime già in partenza. Dopo due film girati in trasferta, Il passato e Tutti lo sanno, rispettivamente in Francia e in Spagna, intervallati da Il cliente, ambientato a Teheran, questa volta ha scelto Shiraz, con escursioni a Marvdasht, e le rovine di Persepoli non sono lontane, per raccontare una vicenda kafkiana, nella sua circolarità inesorabile, dove ognuno dei protagonisti ha le sue ragioni ma tutti, al contempo, hanno torto e il cerchio si chiude attorno alle speranze di Rahim, un calligrafo e illustratore che per mettersi in proprio si è indebitato con l'ex cognato senza riuscire a onorare l'impegno, di uscire dalla prigione a cui è stato condannato per tre anni. Speranze che si erano accese durante una breve licenza, quando la sua nuova compagna, una logopedista che ha in cura suo figlio (che l'ex moglie gli ha lasciato in carico) gli dice di aver trovato per caso una borsa da donna contente delle monete d'oro, con il ricavato della cui vendita potrebbe rabbonire il creditore convincendolo a ritirare la denuncia. Assalito da scrupoli morali, Rahim lascia perdere e decide di restituire la borsa, andando alla ricerca di chi l'aveva smarrita, distribuendo volantini e lasciando come recapito il numero del carcere. Mal glie ne incolse, perché da qui comincia una veloce scalata agli altari, dato che una volta restituita la borsa (il cretino non si fa nemmeno lasciare una ricevuta o un indirizzo) si scatena il circo mediatico e l'uomo diventa un eroe nazionale, comparendo in TV e sui giornali, e a pavoneggiarsi per primi sono i dirigenti del carcere in cui è custodito e, a seguire, una organizzazione che si occupa di detenuti; ma siccome, come sempre nei film di Farhadi, c'è molto di non detto, o non detto del tutto, e il caso (oltre ai social media) ci mette lo zampino, altrettanto presto avviene la caduta nella polvere di Rahim "il virtuoso", che è un ingenuo pasticcione ma anche un personaggio ambiguo, con un sorriso sghembo che mi ricorda qualcuno che sta al governo qui da noi, ché uno non capisce mai se ci è o ci fa. O entrambe le cose. Alla fine sono coinvolte tre famiglie, la direzione del carcere, l'Onlus della situazione, la reputazione dell'uomo viene azzerata, tutti raccontano una qualche piccola frottola col risultato di aggrovigliare in maniera inestricabile la matassa e il poveraccio torna in galera, dove avrà tempo di riflettere sulla sua dabbenaggine. In un mare di parole e mezze menzogne, l'unico che dice le cose giuste e chiare a tutti è il bambino dislessico (cfr Il Re è nudo!), ma chi l'ascolterà mai? Una metafora della realtà, dove ognuno tira l'acqua al suo mulino senza pensare alle conseguenze, su sé stesso e tantomeno sul prossimo: vengono in mente le immortali Leggi fondamentali della stupidità umana del mai dimenticato M. C. Cipolla; meccanismi invariabili a qualunque latitudine e lungitudine e in qualsivoglia ambiente umano, ed ecco spiegato perché il cinema di Asghar Farhadi è sempre universalmente attuale.
Nessun commento:
Posta un commento