"Il potere del cane" (The Power of the Dog) di Jane Campion. Con Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse Plemons, Kodi Smit-McPhee, Genevieve Lemon, David Carradine e altri. Nuova Zelanda, Australia 2021 ★★★+
Non amo i western classici, tanto meno il cinema militonto, feministo o maschilisto che sia, e neanche gli americani e gli oceanici in generale alle prese con i rigurgiti della loro moralità bigotta e ipocrita che talvolta cade in contraddizione con l'altrettanto salda fede nel mito del "progresso" senza limiti all'insegna dei dané, però devo ammettere che il film non è male, per quanto a tratti pallosetto e non poco manieristico, specie nelle immagini. Indubbiamente suggestive, girate in buona parte in Nuova Zelanda, Paese d'origine della regista, e che rendono i vasti quanto spesso desolanti spazi del Montana, in cui è ambientato l'omonimo romanzo di Thomas Savage del 1967 da cui è tratto il film, che prende per titolo un oscuro versetto biblico. Phil (Cumberbatch) e George (Plemons) Burbank gestiscono un ranch con un enorme allevamento di bovini e non potrebbero essere più diversi: il primo è orgoglioso di essere il prototipo del mandriano rude e dalla scorza dura, sgradevole e selvaggio, che vive nel mito del defunto Bronco Henry, il quale l'ha iniziato al duro mestiere (e anche ad altro, come si intuirà nel corso del film), che per il posato e gentile George, che a differenza del fratello si lava ed ha un aspetto curato e ha perfino frequentato il college, pur senza laurearsi per seguire l'attività di famiglia, non è nient'altro che colui che gli ha insegnato ad andare a cavallo, non a vivere. Quando George deciderà di sposare Rose (Dunst), vedova di un medico suicida e madre di Peter (McPhee), un giovane allampanato ed effeminato che studia a sua volta medicina, proprietaria di una locanda dove viene presa di mira assieme al figlio per la sua leziosità durante una cena da Phil e i suoi mandriani, e la porterà a vivere nel ranch, l'equilibrio di Phil e del suo mondo rivolto al passato andrà in crisi (siamo nel 1925) così come il rapporto con il fratello, non direttamente ma per interposta persona: Rose. Che verrà accusata di manipolare George, di essere falsa e voler mettere mano ai quattrini di famiglia oltre che a rivoluzionarne abitudini e principi, e mette in atto una vera e propria guerra psicologica allo scopo di squinternarne tutte le certezze, e ci riesce, precipitandola nell'alcolismo, sulle orme del marito suicida. Quando nel ranch giungerà anche il giovane ed apparentemente fragile Peter per trascorrervi le vacanze estive, con lui arriverà anche la nemesi: lo sorprenderà perché sarà l'unico che abbia conosciuto fino a quel momento a scorgere nel profilo delle colline un cane che abbaia, sulle orme dell'idolatrato Bronco Henry, e da quel momento, nonostante "la partenza sbagliata, da cui nascono spesso le grandi amicizie", ne diventerà il mentore, così come Bronco Henry lo era stato per lui, scoprendo in qualche modo le carte, cosa che il sagace Peter nella sua sensibilità decisamente femminea intuisce al volo essere il suo punto debole e gioca a suo vantaggio, consumando così la sua vendetta covata fin da quando Phil lo aveva deriso e oltraggiato durante la cena di tempo prima, fedele allo scopo a cui ha improntato la sua vita fin dalla morte del padre: proteggere Rose a ogni costo. Missione compiuta e tutti vissero felici e contenti, forse. Anche se personalmente non sarei molto ottimista di come si metterebbero le cose per il gentile George se la storia non finisse lì. E', in buona sostanza, un film sulla manipolazione reciproca di personaggi che sono imprigionati nei loro ruoli, tranne per certi versi Peter, che in qualche modo incarna il futuro e l'"apertura" e la relativa ambiguità: la durezza di Phil è solo apparente, e la sua intelligenza e sensibilità (almeno musicale) sono decisamente maggiori di quella di Rose e di George, benché la sua dirittura morale sia incrinata da un tarlo che lo rode; ed è anche un film sul "non detto". Un po' tirato per le lunghe e alquanto lento per i miei gusti, ma siamo comunque decisamente sopra la media, così come la prestazione degli interpreti principali.
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