giovedì 7 ottobre 2021

Drive My Car

"Drive My Car" (Doraibu mai kā) di Riūsuke Hamaguchi. Con Hidetoshi Nishijima, Toko Miura, Reika Kirishima, Masaki Okada, Perry Dizon e altri. Giappone 2021 ★★★★★

Fresco reduce dall'Orso d'Argento all'ultima Berlinale per l'ottimo e garbato Il gioco del destino e della fantasia, uscito nelle nostre sale soltanto un mese fa, questa volta Riūsuke Hamaguchi supera sé stesso con un gioiello raro, un film esemplare, che nonostante la notevole durata (tre ore nette) scorre via che è un piacere, per quanto non siano lievi né liete le vicende che portano due persone dai trascorsi molto diversi ad avvicinarsi e capirsi aprendosi, pur con molta circospezione, durante una serie di spostamenti a bordo di una Saab 900 Turbo rossa, coprotagonista del film assieme a Kafuku, un attore e regista teatrale in trasferta da Tokio a Hiroshima, e la sua occasionale autista Misaki. Kafuku vive nel rimpianto della moglie, Oko, a sua volta scenografa, che gli raccontava le sue trame mentre facevano sesso, trovata morta al rientro a casa per un'emorragia cerebrale proprio la sera in cui gli aveva detto che avrebbe dovuto parlargli, e accetta di mettere in scena Lo zio Vanja di Checov per un festival che si tiene a Hiroshima, dove si trasferisce per fare i provini e allestire lo spettacolo e gli viene assegnata la giovane Misaki come autista. Dapprima riluttante ad affidarle l'automobile, a cui è molto affezionato, ben presto ne apprezza la bravura nonché la discrezione e la pazienza con cui ascolta, durante i tragitti, le cassette del dramma che sta preparando. Un film dove la parola svolge un ruolo centrale: prima nel talamo dei due coniugi dove Oko raccontava le sue storie immaginarie che Kafuku traduceva in sceneggiature, poi nel teatro di Hiroshima, nel corso delle audizioni prima e dello studio del testo di Cechov poi, letto ad alta voce dagli attori, ciascuno nella propria lingua madre (non solo giapponese ma anche coreano, mandarino, filippino...), infine nelle pur rare ed essenziali conversazioni che si sviluppano durante gli spostamenti tra Kafuku e Misaki, che si scopre essa stessa reduce da un trauma, la morte della madre in seguito a una frana che ha travolto la casa in cui vivevano, di cui si sente in qualche modo responsabile, evento che l'ha allontanata dalla natìa isola di Hokkaido, nel Nord del Paese; a sua volta, anche la coppia Kafuku-Oko aveva sofferto, prima della morte di lei, quella della loro unica figlia, a 4 anni, che aveva cambiato la vita della madre, attrice, la quale aveva in seguito abbandonato le scene, e il rapporto col marito, con cui nonostante le parole e  l'amore profondo che li legava, s'era creata una frattura di "non detto" o, meglio, non comunicato. Nel rapporto che si instaura tra Kafuku e Misaki saranno invece proprio i silenzi, talora più significativi ancora delle parole, ad essere essenziali per la comprensione reciproca, che passa, innanzitutto, per l'accettazione di sé stessi, cosa che per entrambi avviene per gradi proprio durante la loro, seppur "professionale", frequentazione. Ed è questo il fulcro della storia, la "morale", se vogliamo, che Riūsuke Hamaguchi trae, magistralmente, da uno dei racconti di Murakami Haruki che fanno parte della raccolta Uomini senza donne, con uno stile visivo e di racconto sulla falsariga di quello utilizzato dal grande autore nelle sue pagine scritte, impresa non facile e per questo ancor più meritoria. Tornando all'uso della parola, e a quello correlativo dei silenzi, anch'essi parte essenziale della comunicazione fra persone, è da notare quanto nel cinema orientale, e giapponese in particolare sia sempre essenziale, di solito misurata, evocativa, spesso suggestiva; al contrario di quanto avviene in quello occidentale, dove oltre alla logorrea dominante, all'iperbole, alla battuta ad ogni costo, il vuoto parlarsi addosso raggiunge cime inarrivabili nella commedia francese, tallonata a poca distanza da quella nostrana e spagnola, ma anche gli americani non scherzano per niente. Fumo tanto, arrosto poco, insomma. La profondità, associata alla leggerezza, è un'altra cosa. Questo film ne è un felice esempio, e gli attori scelti a interpretarlo all'altezza. Lo raccomando vivamente.

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