"Tre piani" di Nanni Moretti. Con Margherita Buy, Nanni Moretti, Alessandro Sperduti, Riccardo Scamarcio, Elena Lietti, Alba Rohrwacher, Adriano Giannini, Anna Bonaiuto, Stefano Dionisi, Tommaso Ragno e altri. Italia, Francia 2021 👽
Rincresce doverlo ammettere, ma non ricordo di aver visto nell'ultimo anno in film più insulso, inutile, pietoso di Tre piani, che Nanni Moretti ha tratto piuttosto fedelmente da un romanzo dell'israeliano Eshkol Nevo, ambientando in un villino signorile di Prati una vicenda che nell'originale si svolgeva in un analogo quartiere residenziale di Tel Aviv, e che probabilmente riflette la particolare situazione di assedio perenne che affligge la popolazione israeliana anche nella sua città più vivace; qui nient'altro che la psicopatologia della tipica borghesia di Roma Nord. Le vite dei quattro nuclei famigliari che vi abitano vengono sconvolte da un botto: una notte, l'auto guidata a folle velocità da Andrea, ubriaco, figlio di una coppia di giudici (lo stesso Moretti e Margherita Buy) che vive nell'attico, investe e uccide una donna incinta e finisce incastrata nella vetrina dello studio di un vicino di casa. Un evento che avrà le sue ripercussioni nell'immediato, poi a 5 e infine a 10 anni di distanza dal fatto sulle vite di tutti i protagonisti, che vedremo legati da un medesimo destino, il nulla assoluto, nel corso di un decennio. In un limbo di idiozia, banalità, perbenismo, ipocrisia, paura erano, un deserto senza oasi, e nello stesso vi si ritroveranno, una vita trascorsa per niente, senza un minimo, vero cambiamento, senza essere capaci di guardarsi dentro, figurarsi essere in grado di capire il prossimo. Questo nulla il film lo esprime così bene da risultare nullo pure lui. Le l'altre coppie sono un "creativo", interpretato da Scamarcio, capace della stessa espressione di stolida fissità nel corso di due ore di film (e del decennio che racconta) e sua moglie più gli anziani vicini di casa, cui per pigrizia usava affidare la figlia invece di assumere una baby sitter, per poi sospettare un povero vecchio malato di abusarne e rimanerne ossessionato perseguitandolo, salvo rivelarsi incapace di tenere il cazzo nei pantaloni davanti alla nipote di costui, e dando così l'opportunità a Moretti di cimentarsi, con risultati imbarazzanti, nella prima scena erotica (si fa per dire) che ricordi di avere visto in oltre 43 anni di onorata carriera cinematografica. L'ultima coppia è composta da una squinternata, Alba Rohrwacher, lei sì perfetta nella parte che, ormai assuefatta all'assenza del marito per motivi di lavoro (ognuno in questo film è talmente concentrato su sé stesso, ossia sul nulla, da essere incapace di relazionarsi col prossimo), che non si sa come faccia a tirare su due figli piccoli senza conseguenze per loro catastrofiche, pur parlando con corvi immaginari e in preda ad allucinazioni. Come non bastasse la mancanza dell'oggetto, o meglio il sottovuoto spinto, piattume assoluto, nessuno spunto degno di nota salvo la scena, catartica non fosse ancora a metà della pellicola, in cui Andrea si ribella al padre, saccente e odioso, e lo riempie di botte e mette a tacere, per una volta, Moretti. Noia, lentezza, ma soprattutto nemmeno un briciolo di autoironia. E senza di questa, presente pure nei film più riflessivi e anche drammatici dell'autore, non c'è Moretti. Dispiace ma non stupisce, da parte di una delle rare voci lucide di quello che si definiva sinistra in Italia, vista la parabola di quest'ultima. Però mi auguro che si sia trattato di un incidente e che sarà buona la prossima, quando il vecchio Nanni tornerà a raccontare, si spera, una storia sua.
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