sabato 17 ottobre 2020

Il giorno sbagliato

 

"Il giorno sbagliato" (Unhinged) di Derrick Borte. Con Russell Crowe, Caren Pistorius, Gabriel Bateman, Jimmi Simpson, Michael Paapajohn e altri. USA 2020 ★-

Non un film memorabile, in confronto a due classici come Duel di Steven Spielberg e Un giorno di ordinaria follia di Joel Schumacher, dei quali è debitore, ma riuscito, almeno in parte, se lo scopo era quello di trasmettere una scarica di adrenalina dal grande schermo allo spettatore in sala inchiodandolo alla poltroncina per 90': calibrata la scelta del tempo e anche degli interpreti, da un lato un Russell Crowe sempre più corpulento, ex dirigente di una casa automobilistica rovinato dall'avvocato della moglie, da cui ha divorziato e che ha appena accoppato assieme al nuovo compagno, dall'altro una giovane madre, l'insulsa Caren Pistorius, a sua volta alle prese con una causa di separazione, un tantino immatura e stupida che, a un incrocio, mentre sta portando a scuola il figlio, perennemente in ritardo a causa della sua innata disorganizzazione nonché menefreghismo, ha l'ardire di suonare impaziente il clacson al bestione alla guida di un pick-up con tanto di parafanghi oversize che in America Latina chiamano mataburros, ossia ammazza-asini. Quel che è peggio, a gentile (tutto sommato: il Tom Cooper interpretato dall'attore australiano non è ancora uscito completamente dai gangheri) non si sogna nemmeno di scusarsi e lo manda pure a fare in culo. E qui Cooper si incazza e non le dà più tregua. Risparmio dettagli sui 75' successivi all'incrocio dei due destini, nell'ingorgo di traffico verso il centro di una qualsiasi orrenda metropoli di quel Paese di psicopatici che sono gli USA, anche per non togliervi la sorpresa, ma il crescendo rossiniano di violenza e di crudeltà è abbastanza impressionante e non vengono risparmiati dettagli truculenti: il fatto è col procedere del film, ci si ritrova quasi a simpatizzare per l'energumeno, il cui grado di alienazione e di disadattamento è soltanto a un livello superiore per intensità, ma di identica natura, di quello di Carol, la giovane donna vittima della sua vendetta privata contro il mondo. Un mondo che, lo dicono alcune voci tratte dai canali All News che infestano 24 ore al giorno la nostra esistenza (nonché la pellicola in visione) e ancor più quella degli statunitensi, a forza di un incessante bombardamento di stimoli contraddittori ha ormai saturato i cervelli di chi ne è oggetto tanto da mandarli in tilt, prima o poi, inevitabilmente. I rimedi sono noti: scomparsa la possibilità di incanalare malcontento e frustrazioni in movimenti collettivi di protesta, e quindi la speranza di un cambiamento a livello sociale, figurarsi attraverso il voto, e abbandonati a sé stessi, l'alternativa consiste in palliativi come psicofarmaci, ricorso alla psicanalisi in massa, droghe, oppure scoppi individuali di rabbia incontrollata e irrazionale, andare fuori di cotenna e farsi giustizia da soli, il che del resto è nel DNA degli yankees e di chi apprezza così tanto l'american way of life da fare di tutto per andare a vivere negli USA. Dove però il film cade miseramente (un'avvisaglia si ha quando, inseguita dall'imbufalito Tom che ha appena trucidato la ragazza del fratello e sottoposto a tortura quest'ultimo, Carol, per tranquillizzare il figlio, proprio lei, dopo tutte le cazzate che ha fatto, pronuncerà la frase di rito che ricorre almeno una decina di volte in ogni film americano, assieme al rituale "ti amo": va tutto bene. E ci scappa da ridere) è nel finale quando, dopo averne stesi almeno una mezza dozzina, Tom trova la morte a opera proprio della cretina, irrompe la Polizia e la fancullla, bel bella, monta in macchina, come se non fosse successo nulla (infatti sembra nuova anche la station vagon con cui viaggiava, senza un'ammaccatura pur avendo sbattuto ovunque) e se ne torna a casa beata e sorridente assieme al figlio che, a dieci anni, ha pure dieci volte più cervello e buon senso di lei. Ecco: se decidete per la scarica di adrenalina, uscite al minuto 85'. Insomma, un'americanata, parzialmente ben fatta, a cui non basta un Russell Crowe in piena forma (letteralmente) per meritare la sufficienza.

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