venerdì 9 ottobre 2020

Padrenostro

 "Padrenostro" di Claudio Noce. Con Mattia Garaci, Pierfrancesco Favino, Barbara Ronchi, Francesco Gheghi, Anna Maria De Luca, Mario Pupella, Antonio Gerardi e altri. Italia 2020 ★-

Di regola tendo a essere comprensivo con la produzione nazionale, che pure una certa reputazione in giro per il mondo la conserva tuttora, e fin troppo di manica larga coi giudizi, però raramente ho visto una sequela di film scadenti come quelli presentati, in concorso o meno, alla recente Mostra del Cinema di Venezia. Oggi tocca al tanto decantato Padrenostro, che è valso a un imbolsito (per l'occasione?) Pierfrancesco Favino la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile (qualche contentino al Paese ospitante la giuria doveva pure concederlo). La vicenda si ispira a un fatto vero, ossia all'attentato a cui il 14 dicembre del 1976 scampò l'allora vicequestore Afonso Noce, responsabile dell'antiterrorismo per il Lazio, padre del regista (che allora non aveva ancora due anni), rimanendo ferito, mentre morirono un poliziotto della scorta e uno dei membri del commando dei NAP, Nuclei Armati Proletari, che fecero l'agguato, prendendo spunto dai ricordi del fratello maggiore di Claudio Noce, che vi assistette parzialmente dal terrazzo di casa. Questo ragazzino di 10 anni è il Valerio che vediamo sullo schermo, l'unico vero protagonista del film, interpretato da Mattia Geraci, lui sì meritevole di un premio che per tutta la durata (esorbitante) di questa pellicola, il quale annaspa tra sogno e realtà alla ricerca della verità, che nessuno gli dice, sulle condizioni del padre (Favino/Noce) che non vede tornare a casa, e quando anche lo farà, lo spettatore non è in grado di capire se si tratti della fervida fantasia del ragazzino (che si inventa amici fantasma) o se sia rimasto vivo per davvero. Magari il fulcro del film vuole essere una riflessione sul rapporto irrisolto, o forse inesistente, con un padre evanescente (forse per via del lavoro che fa: il film è talmente ingarbugliato che non si capisce nemmeno se Noce fosse un magistrato oppure un poliziotto), oppure una sorta di trattatello sugli attacchi d'ansia (inizia e si chiude su un tipo che si presume sia Valerio, al giorno d'oggi, tra i quaranta e i cinquanta, che ne rimane vittima nella metropolitana di Roma in occasione di un black out e che ne viene fuori quando incontra un personaggio che forse è l'amico immaginario - o reale? - che aveva in pubertà e, pare di capire, sia il figlio del terrorista rimasto ucciso nella sparatoria). La vicenda, lisergica più che onirica, si svolge nell'appartamento borghese della famiglia, nella scuola di suore che frequenta il ragazzino, in Calabria durante un viaggio con padre, madre e sorellina (dove lo raggiunge l'amico non-si-sa-se immaginario). Tutto è confuso, sconclusionato, buttato lì nel calderone, e per di più posticcio: dalle macchine d'epoca (non esistevano tagliandi dell'assicurazione grandi come lenzuola con scritto RC/Auto), al volto di Favino, che sembra uscito da una plastica facciale riuscita molto male, ai capelli della povera Barbara Ronchi che, dopo Fai bei sogni, pare ormai condannata al ruolo di madre stereotipata degli anni Settanta (a meno che Noce non abbia utilizzato i provini o gli scarti di quel film); improbabili la Calabria e l'atmosfera famigliare che vengono propinati nel film, perfino i riferimenti al calcio sono raffazzonati: non è plasuibile che nel 1976/77 Giorgio Chinaglia abbia potuto firmare un pallone da regalare a Valerio dopo aver giocato una partita all'Olimpico proprio mentre si era trasferito, con gran clamore, negli USA ingaggiato dai Cosmos. Se poi Padrenostro voleva essere un film che raccontasse qualcosa sugli Anni di piombo, il fallimento è totale, e l'espediente ridicolo di rendere i colori sgranati come le foto d'epoca non ne ricostruisce certo l'atmosfera. Il risultato è, francamente, penoso e il film di una lentezza esasperante, oltre che inutilmente lungo. Più che cinema, una solenne pippa mentale.

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