"Miss Marx" di Susanna Nicchiarelli. Con Romola Garai, Patrick Kennedy (II), John Gordon Sinclair, Felicity Montagu, Olive Shreiner, Emma Cunnife, Oliver Chris e altri. Italia 2020 💩
Completa il trittico dei film di merda di produzione nazionale presentati quest'anno a Venezia questa specie di sermoncino con supporto audiovisivo che ai tempi del GranPartito di gramscitogliattilongoeberlinguer avrebbe potuto essere destinato e indottrinare la gioventù comunista nei cineforum alle Case del Popolo, mentre ora si limita a estasiare le critica militonta e, forse, i nostalgici rincitrulliti. Del tris, quello che mi ha irritato più di tutti: mentre gli altri due, di Giorgia Farina e di Claudio Noce, erano semplicemente incomprensibili oltre che terribilmente pallosi, di questo ritratto biografico della minore delle figlie di Karl Marx, Eleanor chiamata famigliarmente Tussy (nomignolo che nel gergo tedesco di oggi equivale a oca, nel senso di cretina, matuttoquesto la Nicchiarelli non lo sa, equandopassaridetuttalacittà: altrimenti si sarebbe, forse, risparmiata dal sottolineare ripetutamente questo dettaglio) lo scopo si capisce benissimo: pura agiografia e propaganda ideologica e femminista, peccato che, come quasi sempre capita agli agit-prop di scuola marxista-leninista, risulti del tutto controproducente. Innanzitutto perché la lezioncina viene pappagallescamente calata dall'alto, come del resto fa Eleanor, che parla per slogan in contesti, quelli dei "campi e delle officine", che le sono del tutto estranei, per censo e cultura, essendo borghese fino al midollo come lo era del resto il padre: l'unico che poteva parlare con cognizione di causa il mondo del lavoro di tutta la ghenga era Friedrich Engels, che del resto era ricco un industriale tessile il quale grazie al plusvalore prodotto dai suoi operai ha finanziato fino alla morte, e pure successivamente, oltre al proprio elevato tenore di vita, tutta la tribù Marx, Eleanor e il suo lacché Aveling compresi. E' del resto una capacità insita a quelli sedicenti desinistra, soprattutto de noantri, risultare odiosi per la loro pedanteria e saccenza senza rendersene conto; non sono loro a essere dottrinari e insopportabilmente spocchiosi, ma gli altri, intellettualmente inferiori, a non capirli. Ma qui la regista compie un capolavoro di autolesionismo non solo presentando i due eminenti ideologi come due gioviali e all'occorrenza avvinazzati maschilisti, ma Eleanor e le altre figlie di Marx (oltre a quello illegittimo, frutto di un amore ancillare del mandrillo barbuto) come delle deficienti nonché complici del proprio avvilimento, confermando ancora una volta che nella grande famiglia marxista ciò che vale per il pubblico è esattamente il contrario di quel che viene praticato nel privato, per cui l'esito di questa sorta di inno all'attualità della figura di questa povera donna, di cui vengono mostrate tutte le contraddizioni nella quotidianità e in campo sentimentale e poco o niente della sua formazione e attività intellettuale in prima persona, come se non fosse capace un pensiero autonomo oltre all'indottrinamento ricevuto in famiglia, si risolve in una clamorosa autorete, una mazzata sui propri testicoli, oltre a quelli dell'incauto spettatore. Ma forse vi diranno che l'attualità consiste nella presa di coscienza di quanto vi sia ancora da fare: la strada è lunga, compagni e compagne, fino al sorgere del Sol dell'Avvenir. Intanto siamo fatti per soffrire, a meno di non fare come la povera Eleanor che, per non poterne più, a soli 43 anni si è tolta la vita col veleno. Quando poi nella scena finale ho visto il suo ectoplasma, nei panni della disgraziata chiamata a interpretarla, la generosa Romola Garai, che regge da sola l'incombenza di questa solenne cagata, scatenarsi in una grottesca danza al suono di Dancing in the Dark di Bruce Springsteen, un altro che mi sta sui coglioni, giustamente deturpata in versione punk (l'unica cosa buona del film), mi sono vergognato per lei.
Adoro il profumo di napalm al mattino...
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