"Ritratto della giovane in fiamme" (Portrait de la jeune fille en feu) di Céline Sciamma. Con Noémie Merlant, Adèle Haenel, Luana Bajrami, Valeria Golino, Cecile Morel. Francia 2019 ★★★★½
Benché sia un film in costume, per di più francese (le regista, le interpreti, la produzione) e anche militante, tre caratteristiche che, messe insieme, considerati i miei gusti (o, meglio, le mie idiosincrasie) fanno più di un indizio di pippone, ovvero una martellata sugli zebedei garantita, Ritratto della giovane in fiamme mi ha sorpreso e io sorprenderò i miei sparuti lettori assegnandogli qualcosa in più di 4 stelline al merito. Innanzitutto perché è stilisticamente perfetto, con una fotografia, sia di interni, sia d'esterni, estremamente efficace, ma soprattutto perché la regista, attraverso un racconto del tutto lineare e coerente, stimola una serie di riflessioni su aspetti diversi, dalla scoperta della sessualità alla libertà di scelta, in questo come in altri campi; dal significato dell'arte, e di quella che utilizza l'immagine in particolare, alla posizione delle donne in un universo completamente maschile: per farlo, sceglie un'epoca, alla vigilia della Rivoluzione francese, negli anni Settanta del 18° secolo, e un luogo molto suggestivo e isolato, un vecchio castello quasi disabitato sulla costa Bretone, dove giunge Marianne (Noémie Merlant), una giovane pittrice, figlia d'arte, incaricata dalla proprietaria (la Golino) di fare il ritratto di matrimonio della figlia, Eloise (Adèle Haenel, in una interpretazione superba, che mi ha fatto rimangiare quanto scritto su di lei in altre occasioni), promessa in sposa a un nobile milanese: l'esito dipenderà da se e quanto a questo perfetto sconosciuto piacerà l'immagine della ragazza ritratta. C'è un però: Eloise, che è stata ritirata dal convento di Benedettine dove trascorreva un'esistenza che tutto sommato gradiva (c'erano la musica e i cori, quanto meno, e i libri, e soprattutto, non c'erano la madre né gli obblighi famigliari che rappresentava), non ne vuole sapere né di posare né del matrimonio combinato, anche perché subentrerebbe alla sorella che, si immagina per lo stesso motivo, si era suicidata buttandosi giù da una scogliera: Marianne è così costretta a memorizzarne fattezze e le caratteristiche più dettagliate, scoprirne e rubarne, in qualche modo, l'anima durante le passeggiate che compiono all'aperto o durante le loro chiacchierate. Man mano ne guadagna la fiducia e l'amicizia ed entrambe rivelano sempre qualcosa di più si sé stesse, anche l'artista che ritrae Eloise che alla fine decide davvero di posare per lei, perché quello che si avvia è un rapporto di scoperta reciproca che nasce dall'osservazione e dai dettagli, per trasformarsi sì in una breve ma intensa relazione saffica, così emozionalmente significativa e profonda da segnarle però per l'intera loro vita. Il tutto in un mondo completamente al femminile, dove se la madre simboleggia la rassegnazione e il rimpianto di una donna che ha dovuto sottostare alle regole e nemmeno pensava lontanamente di poter avere un avvenire diverso da quello già preordinato per lei, la giovane domestica che assiste le due ragazze durante il soggiorno della pittrice nella magione, è il terzo lato di un triangolo di solidarietà tra donne o, come si suol dire, di "sorellanza". Come accennato Sciamma lavora molto per metafore e simboli, e se alcune scene sono perfettamente riuscite, quella in cui le due ragazze assistono e confortano la giovane cameriera durante un aborto è un po' tirata per i capelli e può risultare sgradevole. Il risultato complessivo, però, è quello di una pellicola notevole, che parla di sentimenti ed è capace di smuoverli. Non so quanto abbia contribuito il fatto di essere dichiaratamente lesbica, ma l'interpretazione di Adèle Haenel è assolutamente memorabile. Sono pressoché certo che di tutti i titoli in uscita attorno a Natale questo sia il più valido per chi ama il cinema di qualità.
Benché sia un film in costume, per di più francese (le regista, le interpreti, la produzione) e anche militante, tre caratteristiche che, messe insieme, considerati i miei gusti (o, meglio, le mie idiosincrasie) fanno più di un indizio di pippone, ovvero una martellata sugli zebedei garantita, Ritratto della giovane in fiamme mi ha sorpreso e io sorprenderò i miei sparuti lettori assegnandogli qualcosa in più di 4 stelline al merito. Innanzitutto perché è stilisticamente perfetto, con una fotografia, sia di interni, sia d'esterni, estremamente efficace, ma soprattutto perché la regista, attraverso un racconto del tutto lineare e coerente, stimola una serie di riflessioni su aspetti diversi, dalla scoperta della sessualità alla libertà di scelta, in questo come in altri campi; dal significato dell'arte, e di quella che utilizza l'immagine in particolare, alla posizione delle donne in un universo completamente maschile: per farlo, sceglie un'epoca, alla vigilia della Rivoluzione francese, negli anni Settanta del 18° secolo, e un luogo molto suggestivo e isolato, un vecchio castello quasi disabitato sulla costa Bretone, dove giunge Marianne (Noémie Merlant), una giovane pittrice, figlia d'arte, incaricata dalla proprietaria (la Golino) di fare il ritratto di matrimonio della figlia, Eloise (Adèle Haenel, in una interpretazione superba, che mi ha fatto rimangiare quanto scritto su di lei in altre occasioni), promessa in sposa a un nobile milanese: l'esito dipenderà da se e quanto a questo perfetto sconosciuto piacerà l'immagine della ragazza ritratta. C'è un però: Eloise, che è stata ritirata dal convento di Benedettine dove trascorreva un'esistenza che tutto sommato gradiva (c'erano la musica e i cori, quanto meno, e i libri, e soprattutto, non c'erano la madre né gli obblighi famigliari che rappresentava), non ne vuole sapere né di posare né del matrimonio combinato, anche perché subentrerebbe alla sorella che, si immagina per lo stesso motivo, si era suicidata buttandosi giù da una scogliera: Marianne è così costretta a memorizzarne fattezze e le caratteristiche più dettagliate, scoprirne e rubarne, in qualche modo, l'anima durante le passeggiate che compiono all'aperto o durante le loro chiacchierate. Man mano ne guadagna la fiducia e l'amicizia ed entrambe rivelano sempre qualcosa di più si sé stesse, anche l'artista che ritrae Eloise che alla fine decide davvero di posare per lei, perché quello che si avvia è un rapporto di scoperta reciproca che nasce dall'osservazione e dai dettagli, per trasformarsi sì in una breve ma intensa relazione saffica, così emozionalmente significativa e profonda da segnarle però per l'intera loro vita. Il tutto in un mondo completamente al femminile, dove se la madre simboleggia la rassegnazione e il rimpianto di una donna che ha dovuto sottostare alle regole e nemmeno pensava lontanamente di poter avere un avvenire diverso da quello già preordinato per lei, la giovane domestica che assiste le due ragazze durante il soggiorno della pittrice nella magione, è il terzo lato di un triangolo di solidarietà tra donne o, come si suol dire, di "sorellanza". Come accennato Sciamma lavora molto per metafore e simboli, e se alcune scene sono perfettamente riuscite, quella in cui le due ragazze assistono e confortano la giovane cameriera durante un aborto è un po' tirata per i capelli e può risultare sgradevole. Il risultato complessivo, però, è quello di una pellicola notevole, che parla di sentimenti ed è capace di smuoverli. Non so quanto abbia contribuito il fatto di essere dichiaratamente lesbica, ma l'interpretazione di Adèle Haenel è assolutamente memorabile. Sono pressoché certo che di tutti i titoli in uscita attorno a Natale questo sia il più valido per chi ama il cinema di qualità.
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