giovedì 12 dicembre 2019

Sfasamento temporale


Non era mia intenzione unirmi al profluvio di retorica, luoghi comuni, ipocrisia e ricostruzioni accomodate o monche che hanno accompagnato in questi giorni il cinquantenario della Strage di Piazza Fontana a Milano che cade oggi, anche se qualcosa di buono e di onesto c'è stato (come la puntata di Atlantide a cura di Andrea Purgatori ieri sera su La 7), ma fare una considerazione basata proprio sul mio ricordo personale di quel pomeriggio e sugli anniversari e le loro commemorazioni. Come quasi tutti i pomeriggi, verso le 16.30 ero uscito di casa, con la scusa di portare a spasso il cane, per andare all'edicola della Crocetta (alla confluenza di Corso di Porte Vigentina con quello di Porta Romana) a comprare l'ultimissima edizione del Corriere d'Informazione per mia madre (allora esistevano ancora i giornali del pomeriggio: l'altro edito a Milano era La Notte): stavo allungando le 50 lire per prendere la mia copia quando ho sentito distintamente il botto; mi trovavo a meno di 500 metri in linea d'aria dalla Banca dell'Agricoltura, erano le 16.37. Sono quei momenti che rimangono impressi indelebilmente della memoria, come quando avevo avuto la notizia dell'attacco alle Torri Gemelle l'11 settembre del 2001. Quattro conti: allora avevo 14 anni e mezzo, era il 1969, 50 anni fa. Nello stesso periodo dell'anno, nel 1919, a Fiume erano i giorni del Natale di Sangue, come l'aveva chiamato Gabriele d'Annunzio: in sostanza una vicenda di guerra civile con 44 morti fra legionari, soldati e civili, che avrebbe messo la parola fine all'Impresa di Fiume. Ebbene: nel dicembre 1969 nessuno, nemmeno i neofascisti (che di tutta la questione istriano-dalmata si sarebbero impossessati come fosse loro esclusiva) avevano celebrato alcunché. L'anno prima, nel 1968, sul cui cinquantenario sarebbero a sua volta stati versati oceani d'inchiostro, cadeva altresì il cinquantesimo anniversario della Vittoria della Prima Guerra Mondiale: le celebrazioni, lo ricordo bene, erano state molto meno scomposte di quelle che l'anno scorso si sono fatte, e non solo in Italia, per l'anno formidabile per definizione. Insomma: ne sono cambiate di cose, in 50 anni, a cominciare dalla percezione del tempo e dei fatti. Quello che non cambia mai è la memoria monca, o di parte, e uno Stato che è un muro di gomma e al massimo si autoassolve, come nel caso di Piazza Fontana: vedi le formelle coi nomi delle 17 vittime della strage (tra cui naturalmente manca quello di Giuseppe Pinelli, che una vergognosa lapide nelle vicinanze  posta dal Comune di Milano definisce Ferroviere anarchico tragicamente morto nei locali della Questura, come se fosse deceduto per caso) scoperte lunedì scorso tra i porfidi attorno alla fontana che dà il nome alla piazza. Recita la prima: ordigno collocato dal gruppo eversivo di estrema destra Ordine Nuovo, ossia l'organizzazione di cui erano capi Franco Freda e Giovanni Ventura, che la sentenza della Cassazione del 2005, addebitando le spese processuali ai parenti delle vittime, aveva ritenuto non più processabili in quanto assolti in via definitiva nel 1987. Sentenza dello Stato. Che non c'era, e se non c'era dormiva. E lo certifica lui stesso. Quello stesso Stato oggi rappresentato da Sergio Mattarella, che in giornata parteciperà alla seduta del Consiglio comunale di Milano, per poi recarsi sul luogo della strage. Anche in questa occasione, da una parte  le "istituzioni democratiche" (si fa per dire) e i partiti, che ricordano a modo loro (omettendo volentieri, e questo lo ricordo bene io, quanto all'indomani della bomba avessero  avvalorato la "pista anarchica", compreso il PCI, tirando in ballo i precedenti dell'attentato al Cinema Diana del 1921: l'eccezione furono i socialisti) coi loro consueti rituali, il buonismo e l'antifassismo d'ordinanza e gli anarchici dall'altra. Io sto con questi. Come il 12 dicembre del 1969 e tutti gli altri che sono seguiti.



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