"The Farewell - Una bugia buona" di Lulu Wang. Con Zhao Shuzhen, Awkwafina, X Mayo, Tzi Ma, Lu Hong, Kong Lin, Diana Lin, Gil Perez-Abraham, Ines Laimins, Jim Liu, Aoi Mizuhara e altri. USA, Cina 2019 ★★★½
Presentato al Sundance Festival all'inizio dell'anno e, in Italia, alla Festa del Cinema di Roma in ottobre, osannato dalla critica, The Farewell, ossia L'addio, "basato su una bugia vera", come precisa nel sottotitolo Lulu Wang, cinese di nascita e newyorkese di adozione, che l'ha scritto e diretto e parla per esperienza personale, è film di buona fattura e ben sceneggiato che affronta in modo originale, e gradevole, le differenze culturali e di mentalità tra Oriente e Occidente che, nel caso di Billi (la rapper Awkwafina, alter ego dell'autrice) convivono nella stessa persona, un'aspirante scrittrice nata a Pechino e trasferitasi a New York da bambina insieme alla famiglia, che pur essendo perfettamente integrata negli USA conserva un rapporto speciale con la nonna paterna, con cui si sente spesso al telefono, un'ex combattente rivoluzionaria che mai si sarebbe sognata di emigrare dalla Cina come hanno invece fatto i suoi due figli maschi: uno a fare il traduttore a New York, appunto, e l'altro, un artista, in Giappone. Succede che a Nai Nai, la nonna, viene diagnosticato un tumore ai polmoni in fase terminale e tutta la famiglia si accorda per raggiungerla a Changchun, nello Jilin, per un ultimo saluto con la scusa del matrimonio di un suo nipote, e cugino della ragazza, con una giapponese, senza dirle nulla sul suo stato di salute: a Billi viene sconsigliato di partecipare al raduno famigliare perché notoriamente incapace di trattenere le proprie emozioni. Lei naturalmente è di diverso parere e raggiunge il parentado in Cina, e nonostante tacere la verità alla nonna si scontri con le proprie convinzioni "americane" si presta alla pietosa bugia, che si completa con la contraffazione dei referti oltre che con la partecipazione di tutto il clan ai preparativi per la festa di matrimonio, a cui sovrintende l'arzilla vecchietta, che sicuramente non sarebbe tale, come saggiamente suggerisce l'antica e profonda cultura cinese, se sapesse che le rimangono poche settimane da vivere; saranno invece gli altri, e in particolare i maschi di famiglia, alla fine considerati poco più che dei fuchi dalla parte femminile (il che in realtà stride piuttosto con la mentalità cinese) a non essere capaci di trattenere le lacrime e di recitare uno stato d'animo sereno e festaiolo. Viene insomma affrontato, in maniera leggera e autoironica, un tema come la morte e quello del diritto a conoscere la proprie condizioni di salute, visto da due punti diametralmente opposti: quello individualista fino alla brutalità tipicamente americano e quello comunitario, che vede il singolo comunque inserito in un contesto, che sia quello famigliare, sociale o naturale, della cultura orientale in genere e cinese in particolare. Ricco di spunti divertenti, ben interpretato da tutti gli attori, ma in particolare da Zhao Shuzhen nella parte della nonna, girato con brio e dall'ambientazione molto realistica (tavola e cibo sono onnipresenti in Cina, e ogni occasione è buona per mangiare e riunirsi: ci sono molti aspetti in comune con Napoli, a cominciare dalla passione per i fuochi d'artificio e dall'arte di arrangiarsi), la pellicola ha a mio avviso tracce troppo evidenti degli stilemi tipici dei film indie statunitensi, ormai diventati quasi un genere a sé stante, e che non amo particolarmente. Comunque molto meglio di altre proposte tipicamente natalizie che abbondano in questo periodo.
Presentato al Sundance Festival all'inizio dell'anno e, in Italia, alla Festa del Cinema di Roma in ottobre, osannato dalla critica, The Farewell, ossia L'addio, "basato su una bugia vera", come precisa nel sottotitolo Lulu Wang, cinese di nascita e newyorkese di adozione, che l'ha scritto e diretto e parla per esperienza personale, è film di buona fattura e ben sceneggiato che affronta in modo originale, e gradevole, le differenze culturali e di mentalità tra Oriente e Occidente che, nel caso di Billi (la rapper Awkwafina, alter ego dell'autrice) convivono nella stessa persona, un'aspirante scrittrice nata a Pechino e trasferitasi a New York da bambina insieme alla famiglia, che pur essendo perfettamente integrata negli USA conserva un rapporto speciale con la nonna paterna, con cui si sente spesso al telefono, un'ex combattente rivoluzionaria che mai si sarebbe sognata di emigrare dalla Cina come hanno invece fatto i suoi due figli maschi: uno a fare il traduttore a New York, appunto, e l'altro, un artista, in Giappone. Succede che a Nai Nai, la nonna, viene diagnosticato un tumore ai polmoni in fase terminale e tutta la famiglia si accorda per raggiungerla a Changchun, nello Jilin, per un ultimo saluto con la scusa del matrimonio di un suo nipote, e cugino della ragazza, con una giapponese, senza dirle nulla sul suo stato di salute: a Billi viene sconsigliato di partecipare al raduno famigliare perché notoriamente incapace di trattenere le proprie emozioni. Lei naturalmente è di diverso parere e raggiunge il parentado in Cina, e nonostante tacere la verità alla nonna si scontri con le proprie convinzioni "americane" si presta alla pietosa bugia, che si completa con la contraffazione dei referti oltre che con la partecipazione di tutto il clan ai preparativi per la festa di matrimonio, a cui sovrintende l'arzilla vecchietta, che sicuramente non sarebbe tale, come saggiamente suggerisce l'antica e profonda cultura cinese, se sapesse che le rimangono poche settimane da vivere; saranno invece gli altri, e in particolare i maschi di famiglia, alla fine considerati poco più che dei fuchi dalla parte femminile (il che in realtà stride piuttosto con la mentalità cinese) a non essere capaci di trattenere le lacrime e di recitare uno stato d'animo sereno e festaiolo. Viene insomma affrontato, in maniera leggera e autoironica, un tema come la morte e quello del diritto a conoscere la proprie condizioni di salute, visto da due punti diametralmente opposti: quello individualista fino alla brutalità tipicamente americano e quello comunitario, che vede il singolo comunque inserito in un contesto, che sia quello famigliare, sociale o naturale, della cultura orientale in genere e cinese in particolare. Ricco di spunti divertenti, ben interpretato da tutti gli attori, ma in particolare da Zhao Shuzhen nella parte della nonna, girato con brio e dall'ambientazione molto realistica (tavola e cibo sono onnipresenti in Cina, e ogni occasione è buona per mangiare e riunirsi: ci sono molti aspetti in comune con Napoli, a cominciare dalla passione per i fuochi d'artificio e dall'arte di arrangiarsi), la pellicola ha a mio avviso tracce troppo evidenti degli stilemi tipici dei film indie statunitensi, ormai diventati quasi un genere a sé stante, e che non amo particolarmente. Comunque molto meglio di altre proposte tipicamente natalizie che abbondano in questo periodo.
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