The Parade / La sfilata (Parada) di Srdjan Dragojevic. Con Nikolas Kojo, Milos Samolov, Goran Jevtic, Hristina Popova, Goran Navojec, Toni Mihajlovski, Natasa Markovic. Serbia, Croazia, Slovenia, Germania, Ungheria 2011 ★★★★★
Uscito colpevolmente con due anni di ritardo in poche sale questo film, per niente innocuo perché riesce a toccare il cuore oltre che il cervello affrontando in chiave farsesca due argomenti maledettamente seri come la discriminazione sessuale e la sciagurata, criminale disgregazione dell'ex Jugoslavia, avrebbe meritato un'attenzione molto maggiore, proprio perché è in grado di parlare anche al grande pubblico con un linguaggio divertente, brioso, anticonformista, che non perde nulla nemmeno attraverso la sottotitolazione. Cetnici, ustascia, baljia, skipter sono, nell'ex Jugoslavia, rispettivamente, chiamati i serbi, i croati, i bosniaci e gli albanesi da tutti quelli di etnia diversa, ma esiste un termine universale per definire le checche: "peder", che è come dire che le etnie che componevano la Federazione erano (e sono) come le cinque dita di una mano, con tutti i loro pregi e difetti, che hanno molto più in comune di quel che loro stesse pensino (a cominciare dal pregiudizio omofobo) e in definitiva non possono fare a meno una dell'altra. Per raccontarlo, la pellicola fa ruotare la vicenda attorno a Limun, eroe di guerra serbo, riciclatosi in istruttore di arti marziali e titolare di un'agenzia di servizi di sicurezza a Belgrado che, macho e omofobo com'è, si trova in debito di gratitudine nei confronti di Radmilo, un veterinario omosessuale che gli ha salvato il fedele cane, vittima di un attentato. Nel contempo Biserka, in procinto di diventare la seconda moglie di Limun, gli impone di affidare l'organizzazione delle nozze a Mirko, un wedding planer nonché militante gay, partner di Radmilo, che è anche uno degli organizzatori del primo Gay Pride a Belgrado. Per una serie di vicissitudini Limun si trova nelle condizioni non solo di proteggere la coppia gay ma anche la sfilata: i sui dipendenti, disgustati, si rifiutano e si dileguano, così come si era rifiutato di farlo la corrotta polizia serba, e a Limun non rimane che rivolgersi a un gruppo scelto di vecchi fraterni "nemici di guerra", e comincia così un delirante viaggio nelle nuove repubbliche, Croazia, Bosnia, Kosovo e Macedonia (la Slovenia non conta, ché è sempre stata austroungarica di suo), a bordo di una Mini d'epoca di colore rosa, del corpulento ex paramilitare scortato dall'altrettanto pasciuto veterinario per cercarli e ingaggiarli. In nome della vecchia "inimicizia" tutti quanti accettano, imparano a conoscere fraternizzare col "diverso" e fanno ritorno a Belgrado dove si scontreranno con una nutrita schiera di da naziskin, nazionalisti, comunisti e omofobi a vario titolo: botte da orbi e una scazzottata in stile "Trinità" che lascerà sul terreno Mirko e segni sui volti (e l'animo) di tutti, ma l'anno successivo (il 2010) si svolgerà il primo Gay Pride senza morti e incidenti nella capitale serba, protetto dalla polizia. E ci marceranno anche Limun, i suoi fraterni ex nemici e chi ha imparato a considerare gli omosessuali con occhi diversi. Il film, che si avvale di una buona dose di luoghi comuni (che come tali hanno un fondamento di verità) per metterli alla berlina, è girato con scarsi mezzi ma con grande professionalità e brio, interpretato con entusiasmo pari alla bravura da un cast "multietnico" e palesemente solidale, orfano di quella bellissima scommessa che era la Repubblica Federativa di Jugoslavia, ricca proprio per il mosaico di diversità di cui era contenitore, e mai perdonerò a Vaticano, Germania, Austria in primo luogo, Italia, USA e a scendere tutti gli altri, di averne incoraggiato la dissoluzione appoggiando unilateralmente la secessione (perché di questo si trattava, prima che di "indipendenza) di Slovenia e Croazia dando il via alla follia della divisione su base etnico-religiosa. Era un grande Paese, almeno nelle intenzioni, la Jugoslavia, e io l'ho sempre sentita molto vicina. Fosse solo per il fatto di ricordare che l'umanità sta sopra a tutti i pregiudizi e unisce invece che dividere, "Parada" è un film che mi ha commosso mentre mi faceva ridere fino alle lacrime e che mi rimarrà dentro.
Uscito colpevolmente con due anni di ritardo in poche sale questo film, per niente innocuo perché riesce a toccare il cuore oltre che il cervello affrontando in chiave farsesca due argomenti maledettamente seri come la discriminazione sessuale e la sciagurata, criminale disgregazione dell'ex Jugoslavia, avrebbe meritato un'attenzione molto maggiore, proprio perché è in grado di parlare anche al grande pubblico con un linguaggio divertente, brioso, anticonformista, che non perde nulla nemmeno attraverso la sottotitolazione. Cetnici, ustascia, baljia, skipter sono, nell'ex Jugoslavia, rispettivamente, chiamati i serbi, i croati, i bosniaci e gli albanesi da tutti quelli di etnia diversa, ma esiste un termine universale per definire le checche: "peder", che è come dire che le etnie che componevano la Federazione erano (e sono) come le cinque dita di una mano, con tutti i loro pregi e difetti, che hanno molto più in comune di quel che loro stesse pensino (a cominciare dal pregiudizio omofobo) e in definitiva non possono fare a meno una dell'altra. Per raccontarlo, la pellicola fa ruotare la vicenda attorno a Limun, eroe di guerra serbo, riciclatosi in istruttore di arti marziali e titolare di un'agenzia di servizi di sicurezza a Belgrado che, macho e omofobo com'è, si trova in debito di gratitudine nei confronti di Radmilo, un veterinario omosessuale che gli ha salvato il fedele cane, vittima di un attentato. Nel contempo Biserka, in procinto di diventare la seconda moglie di Limun, gli impone di affidare l'organizzazione delle nozze a Mirko, un wedding planer nonché militante gay, partner di Radmilo, che è anche uno degli organizzatori del primo Gay Pride a Belgrado. Per una serie di vicissitudini Limun si trova nelle condizioni non solo di proteggere la coppia gay ma anche la sfilata: i sui dipendenti, disgustati, si rifiutano e si dileguano, così come si era rifiutato di farlo la corrotta polizia serba, e a Limun non rimane che rivolgersi a un gruppo scelto di vecchi fraterni "nemici di guerra", e comincia così un delirante viaggio nelle nuove repubbliche, Croazia, Bosnia, Kosovo e Macedonia (la Slovenia non conta, ché è sempre stata austroungarica di suo), a bordo di una Mini d'epoca di colore rosa, del corpulento ex paramilitare scortato dall'altrettanto pasciuto veterinario per cercarli e ingaggiarli. In nome della vecchia "inimicizia" tutti quanti accettano, imparano a conoscere fraternizzare col "diverso" e fanno ritorno a Belgrado dove si scontreranno con una nutrita schiera di da naziskin, nazionalisti, comunisti e omofobi a vario titolo: botte da orbi e una scazzottata in stile "Trinità" che lascerà sul terreno Mirko e segni sui volti (e l'animo) di tutti, ma l'anno successivo (il 2010) si svolgerà il primo Gay Pride senza morti e incidenti nella capitale serba, protetto dalla polizia. E ci marceranno anche Limun, i suoi fraterni ex nemici e chi ha imparato a considerare gli omosessuali con occhi diversi. Il film, che si avvale di una buona dose di luoghi comuni (che come tali hanno un fondamento di verità) per metterli alla berlina, è girato con scarsi mezzi ma con grande professionalità e brio, interpretato con entusiasmo pari alla bravura da un cast "multietnico" e palesemente solidale, orfano di quella bellissima scommessa che era la Repubblica Federativa di Jugoslavia, ricca proprio per il mosaico di diversità di cui era contenitore, e mai perdonerò a Vaticano, Germania, Austria in primo luogo, Italia, USA e a scendere tutti gli altri, di averne incoraggiato la dissoluzione appoggiando unilateralmente la secessione (perché di questo si trattava, prima che di "indipendenza) di Slovenia e Croazia dando il via alla follia della divisione su base etnico-religiosa. Era un grande Paese, almeno nelle intenzioni, la Jugoslavia, e io l'ho sempre sentita molto vicina. Fosse solo per il fatto di ricordare che l'umanità sta sopra a tutti i pregiudizi e unisce invece che dividere, "Parada" è un film che mi ha commosso mentre mi faceva ridere fino alle lacrime e che mi rimarrà dentro.
La disgregazione della Jugoslavia mi è sempre apparsa come un delirio collettivo.
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