"Miele" di Valeria Golino. Con Jasmine Trinca, Carlo Cecchi, Vinicio Marchioni, Libero De Rienzo, Valeria Bilello, Iaia Forte. Italia, 2013 ★★★★½
Ammetto che come attrice Valeria Golino non mi ha mai entusiasmato: troppo "esagerato" il suo modo di muoversi, e troppo urticante la sua voce che, personalmente, non trovo per nulla sexy, ne ho però sempre riconosciuto l'intelligenza e un livello culturale non proprio comuni, qualità che mostra tutte in questa sua prima regia il sui risultato è senz'altro uno dei migliori film italiani prodotti negli ultimi anni. Intanto per il tema che affronta, il suicidio assistito, puntualmente rimosso dal dibattito pubblico per cattiva coscienza e adeguamento pedissequo ai dogmi di una religione intransigente e alla fin dei conti disumana; poi per la capacità di inserire l'argomento in una storia privata raccontandola senza fronzoli, morbosità e compiacimenti, con mano sicura sulla macchina da presa e ottime capacità fotografiche; infine per la scelta perfetta degli interpreti: un grandissimo attore di teatro, Carlo Cecchi, che di rado si vede sul grande schermo, coprotagonista con Jasmine Trinca, credibilissima, come già nella Augusta del recente "Un giorno devi andare" di Giorgio Diritti, nella parte di "angelo della morte", dotata di una rara sensibilità e capacità di esprimere sentimenti e turbamenti attraverso il non-detto. Irene, con il nome di Miele, è una trentenne che aiuta ed assiste i malati terminali nella loro scelta di porre fine alla loro esistenza, procurando loro anche un medicinale ad uso veterinario, il Lamputal, che in dosi massicce funziona anche per l'uomo e che si procura attraverso ripetuti viaggi in Messico. La sua è un'attività da clandestina, che condivide con dei medici e conoscenti che si dedicano, come lei, al sostegno al suicidio assistito, che in Italia (e non solo) è considerato un grave reato, e finisce per farle condurre un'esistenza simile a quella di una brigatista degli anni Settanta, con poche e scelte frequentazioni e una scrupolosità che si colloca tra il necessario e il maniacale. Un giorno però viene contattata dall'ingegner Grimaldi, un uomo sulla settantina colto, acuto, disincantato, estremamente intelligente che però scopre non essere un malato terminale ma un aspirante suicida volontario, e questo la mette in crisi facendola tornare sui propri passi per recuperare il farmaco e dissuaderlo dal proposito. Si instaura un tira e molla non soltanto dialettico tra i due, che si evolve in un rapporto dapprima conflittuale ma poi di curiosità intellettuale e perfino confidenza reciproche fino a sconfinare nell'affetto. Non sarà Irene ad aiutare Grimaldi, anche se indirettamente, nel suo intento, perché l'ingegnere, prima di attuarlo, le riconsegnerà la boccetta di Lamputal; ma la relazione di comprensione che è nata gli darà quella serenità e la forza di volontà per farla finita con un'esistenza che ritiene ormai senza motivazioni. La morte non viene ma mostrata, pur essendo presente in tutto il film, ma diventa, per un apparente paradosso, una cosa viva. Complimenti alla Golino, con l'auspicio che abbia presto l'opportunità di girare un'altra storia altrettanto valida e coinvolgente.
Ammetto che come attrice Valeria Golino non mi ha mai entusiasmato: troppo "esagerato" il suo modo di muoversi, e troppo urticante la sua voce che, personalmente, non trovo per nulla sexy, ne ho però sempre riconosciuto l'intelligenza e un livello culturale non proprio comuni, qualità che mostra tutte in questa sua prima regia il sui risultato è senz'altro uno dei migliori film italiani prodotti negli ultimi anni. Intanto per il tema che affronta, il suicidio assistito, puntualmente rimosso dal dibattito pubblico per cattiva coscienza e adeguamento pedissequo ai dogmi di una religione intransigente e alla fin dei conti disumana; poi per la capacità di inserire l'argomento in una storia privata raccontandola senza fronzoli, morbosità e compiacimenti, con mano sicura sulla macchina da presa e ottime capacità fotografiche; infine per la scelta perfetta degli interpreti: un grandissimo attore di teatro, Carlo Cecchi, che di rado si vede sul grande schermo, coprotagonista con Jasmine Trinca, credibilissima, come già nella Augusta del recente "Un giorno devi andare" di Giorgio Diritti, nella parte di "angelo della morte", dotata di una rara sensibilità e capacità di esprimere sentimenti e turbamenti attraverso il non-detto. Irene, con il nome di Miele, è una trentenne che aiuta ed assiste i malati terminali nella loro scelta di porre fine alla loro esistenza, procurando loro anche un medicinale ad uso veterinario, il Lamputal, che in dosi massicce funziona anche per l'uomo e che si procura attraverso ripetuti viaggi in Messico. La sua è un'attività da clandestina, che condivide con dei medici e conoscenti che si dedicano, come lei, al sostegno al suicidio assistito, che in Italia (e non solo) è considerato un grave reato, e finisce per farle condurre un'esistenza simile a quella di una brigatista degli anni Settanta, con poche e scelte frequentazioni e una scrupolosità che si colloca tra il necessario e il maniacale. Un giorno però viene contattata dall'ingegner Grimaldi, un uomo sulla settantina colto, acuto, disincantato, estremamente intelligente che però scopre non essere un malato terminale ma un aspirante suicida volontario, e questo la mette in crisi facendola tornare sui propri passi per recuperare il farmaco e dissuaderlo dal proposito. Si instaura un tira e molla non soltanto dialettico tra i due, che si evolve in un rapporto dapprima conflittuale ma poi di curiosità intellettuale e perfino confidenza reciproche fino a sconfinare nell'affetto. Non sarà Irene ad aiutare Grimaldi, anche se indirettamente, nel suo intento, perché l'ingegnere, prima di attuarlo, le riconsegnerà la boccetta di Lamputal; ma la relazione di comprensione che è nata gli darà quella serenità e la forza di volontà per farla finita con un'esistenza che ritiene ormai senza motivazioni. La morte non viene ma mostrata, pur essendo presente in tutto il film, ma diventa, per un apparente paradosso, una cosa viva. Complimenti alla Golino, con l'auspicio che abbia presto l'opportunità di girare un'altra storia altrettanto valida e coinvolgente.
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