"Sogno di una notte di mezza estate" di William Shakespeare. Traduzione di Dario Del Corno, regia di Elio De Capitani. Con Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Corinna Agustoni, Sara Borsarelli, Carolina Cametti, Sarah Nicolucci, Vincenzo Giordano, Loris Fabiani, Giuseppe Amato, Andrea Germani, Marco Bonadei, Federica Sandrini. Scene di Carlo Sala, costumi di Ferdinando Bruni, musiche originali di Mario Arcari, coro nella Notte di Giovanna Marini, luci di Nando Frigerio, suono Giuseppe Marzoli. Produzione Teatridithalia.
Il Sogno sta al Teatro dell'Elfo quanto l'Arlecchino sta al "Piccolo": ne è il cavallo di battaglia e non manco di rivederlo fin dalla prima edizione, in versione musical, del 1982. I due "stabili" milanesi hanno in comune anche il fatto di essere "generazionali" e caratterizzati da una forte impronta politica: mentre il Piccolo è stato il simbolo dei fermenti del secondo dopoguerra, fino a raggiungere una meritata fama mondiale, l'Elfo, nato nel 1973, è stato il cuore della Milano "alternativa" che ha avuto le sue radici nel 1968. La rappresentazione a cui ho assistito ieri sera, già messa in scena all'inizio dell'estate dell'anno scorso, costellata da applausi a scena aperta e salutata alla fine con ovazioni da parte di un pubblico divertito ed entusiasta, ha rasentato la perfezione. La commedia, nel suo oscillare tra sogno e realtà, muovendosi su diversi livelli, compreso quello del teatro nel teatro (il tentativo di mettere in scena un farsesco "Piramo e Tisbe" da parte di Bottom, qui Elio De Capitani in versione cuoco e con accento bergamasco, in occasione del matrimonio fra Teseo, il duca di Atene, e Ippolita, regina delle Amazzoni) e gli incantesimi che subiscono le due coppie di innamorati a opera del puck, il folletto, è un divertissement geniale, che relativizza i grandi sentimenti svelandone l'illusorietà e fuggevolezza, ed è fatto apposta per esaltare il ruolo dell'attore e anche le sue capacità di resistenza fisica: occorre essere degli atleti del palcoscenico. Quelli del gruppo dell'Elfo ne escono alla grande: c'è al gran completo il nucleo storico dei fondatori (a parte Gabriele Salvatores, sempre però vicino al gruppo) e i nuovi membri di quello che è sempre rimasto un collettivo, termine abusato negli anni Settanta e Ottanta ma che si attaglia alla perfezione agli "Elfi". E di elfi, dispettosi e talentuosi, è popolato questo "Sogno", che è incantevole anche nelle brume di inizio inverno. Per chi ne abbia l'occasione, uno spettacolo da non perdere.
Il Sogno sta al Teatro dell'Elfo quanto l'Arlecchino sta al "Piccolo": ne è il cavallo di battaglia e non manco di rivederlo fin dalla prima edizione, in versione musical, del 1982. I due "stabili" milanesi hanno in comune anche il fatto di essere "generazionali" e caratterizzati da una forte impronta politica: mentre il Piccolo è stato il simbolo dei fermenti del secondo dopoguerra, fino a raggiungere una meritata fama mondiale, l'Elfo, nato nel 1973, è stato il cuore della Milano "alternativa" che ha avuto le sue radici nel 1968. La rappresentazione a cui ho assistito ieri sera, già messa in scena all'inizio dell'estate dell'anno scorso, costellata da applausi a scena aperta e salutata alla fine con ovazioni da parte di un pubblico divertito ed entusiasta, ha rasentato la perfezione. La commedia, nel suo oscillare tra sogno e realtà, muovendosi su diversi livelli, compreso quello del teatro nel teatro (il tentativo di mettere in scena un farsesco "Piramo e Tisbe" da parte di Bottom, qui Elio De Capitani in versione cuoco e con accento bergamasco, in occasione del matrimonio fra Teseo, il duca di Atene, e Ippolita, regina delle Amazzoni) e gli incantesimi che subiscono le due coppie di innamorati a opera del puck, il folletto, è un divertissement geniale, che relativizza i grandi sentimenti svelandone l'illusorietà e fuggevolezza, ed è fatto apposta per esaltare il ruolo dell'attore e anche le sue capacità di resistenza fisica: occorre essere degli atleti del palcoscenico. Quelli del gruppo dell'Elfo ne escono alla grande: c'è al gran completo il nucleo storico dei fondatori (a parte Gabriele Salvatores, sempre però vicino al gruppo) e i nuovi membri di quello che è sempre rimasto un collettivo, termine abusato negli anni Settanta e Ottanta ma che si attaglia alla perfezione agli "Elfi". E di elfi, dispettosi e talentuosi, è popolato questo "Sogno", che è incantevole anche nelle brume di inizio inverno. Per chi ne abbia l'occasione, uno spettacolo da non perdere.
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