domenica 11 dicembre 2011

Cretinopoli

Poco più di un mese fa aveva suscitato un certo scalpore l'assalto al Trony Megastore di Ponte Milvio, a Roma, che in occasione della sua inaugurazione aveva lanciato una campagna di vendite sottocosto di prodotti di elettronica di consumo che comprendeva anche gadget elettronici particolarmente trendy e dunque particolarmente ambiti perché creano status: ne avevo parlato qui. Stamattina, per via di un appuntamento, mi trovavo a passeggiare per il centro di Milano, dove a partire dalle 10 già confluivano frotte di coppie e famigliole in preda alla fregola degli acquisti natalizi, quando in via San Pietro all'Orto ho notato una fila lunga una cinquantina di metri la cui coda svoltava in corso Matteotti: persone prevalentemente giovani ma non solo, vestite dignitosamente, senza eccessi, composte, quasi silenziose. Non si capiva dove puntassero: serrande abbassate su vetrine nemmeno illuminate, nessuna scritta visibile. L'amica che era con me pensava potesse trattarsi di un casting (di domenica mattina? Beh, perché no?); a me facevano tornare in mente le code per i sussidi di disoccupazione che si usavano vedere in Argentina nei primi anni del decennio e in parte tuttora (a proposito di default); alla fine abbiamo chiesto delucidazioni e, con sguardi di commiserazione, ci è stato risposto che si trattava di Abercrombie. Con qualche sforzo mnemonico mi è venuto in mente che doveva trattarsi di qualcuno che produce felpe piuttosto dozzinali ma chiassose e alla moda; parlando qualche ora dopo con un mio cugino titolare di figlia quattordicenne sono venuto poi a sapere che si tratta di un brand di stilisti newyorkesi, Abercrombie & Fitch, insomma i Dolce & Gabbana della Grande Mela, che fanno furore tra i teenager, con tanto di commessi fighi e seminudi, musica e spettacolo nei loro show room: lui stesso, speditovi tempo fa a procurare un particolare capo di abbigliamento commissionatogli dalla discendenza, si era imbattuto in una fila analoga, rifiutandosi di metterci piede. Per dire: questa idolatria dell'oggetto da possedere a tutti i costi non riguarda soltanto il macchiettistico coatto romano, ma colpisce inesorabilmente anche i "Brambilla" della calvinista Milano, per quanto "da bere" (o meglio: bevuta), molto più violentemente di qualsiasi crisi, almeno per il momento. Finché non si decide a menare fendenti anche dove evidentemente non lo ha fatto ancora abbastanza e le misure del governo in carica sono state percepite come affettuosi buffetti. Così come in questa meravigliosa città sembra del tutto normale e forse decorativa la patina nerastra di polvere unticcia spessa qualche millimetro che ricopre tutto e che si nota in particolare sulle carrozzerie e i vetri delle auto, e questo nonostante reiterati i blocchi del traffico nel vano tentativo di abbassare le letali soglie di inquinamento che si superano invariabilmente dopo qualche giorno che non avvengono precipitazioni piovose e in assenza di vento, condizione quest'ultima abituale nel centro della Pianura Padana. Ma va bene così: c'è pur sempre tempo e modo perché le cose possano peggiorare. 

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