"Le nevi del Kilimangiaro" (Les neiges du Kilimandjaro) di Robert Guédiguian. Con Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Meylan, Maryline Canto, Grégoire Leprince-Ringuet. Francia, 2011 ★★★½
Il marsigliese d'origine armena Robert Guédiguian è una via di mezzo transalpina fra Paolo Virzì e Citto Maselli, senza le menate intellettualoidi di quest'ultimo e un tocco solare che lo differenzia dalla tetraggine del cinema dei fratelli Dardenne. Il film, lieberamente tratto da "La povera gente" di Victor Hugo, ha per protagonista l'ottimo Jean-Pierre Darroussin, appena visto e apprezzato in "MIracolo a Le Havre" nella parte di un commissario di polizia burbero ma umano. Qui è Michel, un operaio sindacalizzato che, in seguito a un accordo da lui stesso siglato, si trova senza lavoro, però almeno con il paracadute di un prepensionamento. In occasione del trentennale di matrimonio con Claire (Ariane Ascaride, moglie di Guédiguian) i tre figli, gli amici e gli ex colleghi e compagni regalano loro un biglietto per la Tanzania e il danaro per trascorrervi una settimana, a vedere il Kilimangiaro. Caso vuole che ne vengano derubati, in seguito a una rapina di cui rimangono vittime anche la sorella di Claire e il marito, amico di infanzia ed ex collega di Michel. Quest'ultimo scopre casualmente che uno dei due assalitori è un giovane ex operaio che è stato licenziato con lui, e lo denuncia alla polizia. Quando scopre che il ragazzo accudisce due fratelli parecchio più piccoli e che è una vittima anche lui, va in crisi e vorrebbe ritirare la denuncia, ma il meccanismo della giustizia non potrà fermarsi per tempo. Trionferà la solidarietà, mentre la giustizia fa il suo corso, ma solo dopo che si sarà chiesto se ciò per cui ha lottato per tutta una vita, compresa un'esistenza dignitosa e per molti aspetti piccolo borghese, sia ancora un valore per le generazioni più giovani o sia andato in fumo con la globalizzazione, e se le sue scelte sono state giuste. La parte più interessante del film è probabilmente questa, la visione della tradizionale classe operaia e quella dei giovani a cominciare dai figli della coppia, privi di certezze e insicuri. Pregio del film è la lievità ma anche l'attenzione con cui descrive le differenti dinamiche tra generazioni e sessi all'interno, comunque, di una cornice ben precisa, il quartiere popolare di Marsiglia dove il regista è nato e cresciuto. Cinema militante, dunque, ma con grazia e leggerezza e finale edificante: la classe operaia non va in Tanzania ma nemmeno all'inferno.
Il marsigliese d'origine armena Robert Guédiguian è una via di mezzo transalpina fra Paolo Virzì e Citto Maselli, senza le menate intellettualoidi di quest'ultimo e un tocco solare che lo differenzia dalla tetraggine del cinema dei fratelli Dardenne. Il film, lieberamente tratto da "La povera gente" di Victor Hugo, ha per protagonista l'ottimo Jean-Pierre Darroussin, appena visto e apprezzato in "MIracolo a Le Havre" nella parte di un commissario di polizia burbero ma umano. Qui è Michel, un operaio sindacalizzato che, in seguito a un accordo da lui stesso siglato, si trova senza lavoro, però almeno con il paracadute di un prepensionamento. In occasione del trentennale di matrimonio con Claire (Ariane Ascaride, moglie di Guédiguian) i tre figli, gli amici e gli ex colleghi e compagni regalano loro un biglietto per la Tanzania e il danaro per trascorrervi una settimana, a vedere il Kilimangiaro. Caso vuole che ne vengano derubati, in seguito a una rapina di cui rimangono vittime anche la sorella di Claire e il marito, amico di infanzia ed ex collega di Michel. Quest'ultimo scopre casualmente che uno dei due assalitori è un giovane ex operaio che è stato licenziato con lui, e lo denuncia alla polizia. Quando scopre che il ragazzo accudisce due fratelli parecchio più piccoli e che è una vittima anche lui, va in crisi e vorrebbe ritirare la denuncia, ma il meccanismo della giustizia non potrà fermarsi per tempo. Trionferà la solidarietà, mentre la giustizia fa il suo corso, ma solo dopo che si sarà chiesto se ciò per cui ha lottato per tutta una vita, compresa un'esistenza dignitosa e per molti aspetti piccolo borghese, sia ancora un valore per le generazioni più giovani o sia andato in fumo con la globalizzazione, e se le sue scelte sono state giuste. La parte più interessante del film è probabilmente questa, la visione della tradizionale classe operaia e quella dei giovani a cominciare dai figli della coppia, privi di certezze e insicuri. Pregio del film è la lievità ma anche l'attenzione con cui descrive le differenti dinamiche tra generazioni e sessi all'interno, comunque, di una cornice ben precisa, il quartiere popolare di Marsiglia dove il regista è nato e cresciuto. Cinema militante, dunque, ma con grazia e leggerezza e finale edificante: la classe operaia non va in Tanzania ma nemmeno all'inferno.
Nessun commento:
Posta un commento