BANDUNG –
Nota un tempo come ”la Parigi di Giava”, la capitale di Giava Ovest,
quarta città dell'Indonesia coi suoi oltre due milioni di abitanti,
circondata da vulcani e posta essa stessa sul declivio di una collina, a
un'altezza media di 750 metri, Bandung è il cuore della cultura
sundanese. Fondata solo alla fine dell'Ottocento come gaurnigione
coloniale dagli olandesi, acquistò importanza in brevissimo tempo come
città industriale e di commerci oltre che polo universitario di primario
rilievo, ed è anche l'esempio di una tipica città indonesiana di
dimensioni medio-grandi e vale solo per questo una visita, anche se di
fatto non c'è quasi niente di memorabile da vedere, a parte un notevole
Museo Geologico, con una sezione dedicata alla vulcanologia, un'altra
alle ricerche petrolifere, oltre a raccolte di fossili, tra cui la
riproduzione del teschio dell'Uomo di Giava e lo scheletro di un
Thyrannosaurus Rex (con un commosso ricordo del grande, geniale Marc
Bolan da parte dello scrivente; foto più sotto a sinistra),
museo che ha sede nello stesso bell'edificio coloniale in cui aveva sede
il Servizio Geologico Olandese. Per chi come me si interessa di
politica internazionale, d'obbligo una visita al Museo della Conferenza
Asia-Africa, che si tenne qui nel 1955 ed ebbe come protagonisti, tra
gli altri, Sukarno, Zhou En Lai, Ho Chi Minh e Nasser, con tanto di
documenti, foto e reperti d'epoca, e che si trova nel bel palazzo che la
ospitò, costruito per l 'occasione. Rimane la moderna ed enorme moschea
centrale, situata nell'Alun Alun (piazza principale: foto in basso a destra) i cui due minareti ricordano dei fari marittimi o anche delle torri televisive, e da cui i sofferenti latrati del muezzin
si diffondono per tutta la città prima ancora che si intraveda la prima
luce del giorno. Non si può nemmeno dire che Bandung sia orrenda, né
squallida, né particolarmente sporca: la città ha quantomeno una forma,
un senso, una sua dimensione e una identità, al di là di un
traffico demenziale e dell'inesistenza di un qualsivoglia piano
viabilistico, che a mio parere non è mai nemmeno stato vagamente preso
in considerazione. Divisa a metà dalla ferrovia
che collega Jakarta a Surabaya e passa per Yogyakarta, attraversando da
latitudinalmente l'isola, la parte a Sud
della stazione costitusce il centro vero e proprio e raccoglie il
nucleo per così dire storico: qualche palazzo d'epoca coloniale lo si
scorge ancora; la parte a Nord, in cui si trovano i
quartieri residenziali e benestanti, alcuni dei quali chiusi da sbarre e
con tanto di gabbiotti per la sorveglianza all'ingresso, si inerpica
sulla collina di Dago, dalla cui cima si gode un vista panoramica
spettacolate sulla città e sui vulcani che la circondano: il Tanghkuban
Prahu (barca rovesciata) a Nord, il Patuha e il Guntur
a Sud. Città industriale, dicevo, e commerciale: le due zone urbane
sono divise anche per settore merceologico. Nella parte alta domina il
tessile, e la strada principale, Jalan Chiubaduyut, è conosciuta come la
Strada dei jeans, caratterizzata da orribili statue
di gesso, a comiciare da quella di Rambo; in quella bassa, con epicentro
Jalan Chihampelas, è il delirio della scarpa tarocca, (sepatu
il termine indonesiano per calzatura, con una reminiscenza iberica).
Prezzi ridicoli, come del resto la qualità: a parte che per un
occidentale di corporatura appena normale trovare una misura o un numero
adatto è impresa praticamente impossibile. Quello che ci si chiede, è
come e a chi si possa vendere la spaventosa quantità di merce esposta,
ma è evidente che l'offerta segue la domanda, e se le finiture lasciano a
desiderare, è altresì vero che la gente compra e si veste e dunque
evidentemente ha soldi da spendere, se affolla centri commerciali,
negozi e gli onnipresenti Outlet, che spuntano ovunque. Outlet: insegna che unisce la città alta con quella bassa, parola feticcio di Bantung come l'espressione hub a Singapore. Bantung è anche sede dell'Istituto di Tecnologia, fondato nel 1920. Fu la prima università olandese aperta agli indonesiano, e dal 1920 al 1925 vi studiò Sukarno, che fu tra i fondatori della Bandung Study Society,
i cui membri avrebbero dato vita al Partito Nazionalista Indonesiano,
promotore dell'indipendenza del Paese. I suoi studenti hanno sempre
mantenuto viva la tradizione di attivismo politico, dalla pubblicazione
nel 1978 del Libro bianco della lotta studentesca, in
cui si denunciava la corruzione agli alti livelli della pubblica
amministrazione, alle manifestazioni quotidiane di centomila studenti
del 1998, che portarono alle dimissioni di Suharto. Oggi stesso ho
assistito a un corteo di protesta, peraltro civilissimo (non si trattava
di estremisti islamici), contro i bombardamenti israeliani sulla
Striscia di Gaza dei giorni scorsi. Un'ultima notazione: non si capisce
perché anche un Paese prevalentemente islamico festeggi la fine
dell'anno cristiano con tanto fervore. Tra l'altro in questo periodo,
come da noi, ci sono le ferie scolastiche invernali: e nella sostanziale
assenza di stagioni che caratterizza le zone equatoriali non se ne vede
il motivo, se non uno scimmiottamento del tanto criticato (ma invidiato
e
scopiazzato) Occidente. Così l'intero Paese è in movimento, in
particolare sono in fuga dalla città gli abitanti di Jakarta, e ogni
meta va bene compresa Bandung, se non altro perché più fresca della
capitale. Che poi la vacanza consista nello stare chusi in albergo, è un
altro paio di maniche. Sembra di essere in Russia: nessuno in giro,
rari gli escursionisti sui vulcani e senza lavoro
le guide, il turista indigeno-tipo staziona con amici o membri della
famiglia assiso su una sediola in polietilene davanti alla camera
d'albergo, con vista sul patio, porta rigorosamente spalancata su un suk in miniatura in cui è stata trasformata la stanza, televisione accesa su una qualche sit-comedy e thermos
col tè a portata di mano. D'obbligo la tenuta in braghette corte e
maglietta arrotolata sopra l'ombelico per gli uomini e sandali di
plastica variopinta e trasparente del genere muco per le donne. Il
montare dell' attesa della mezzanotte lo si nota, e soprattutto sente,
per il crescente entusiasmo con cui scoppiano mortaretti e si suonano,
col trascorerre dei giorni e in un crescendo rossiniano nelle ultime
ore, le trombette di cartone multicolore in vedita a montagne in tutti
gli angoli delle strade: rimane da scoprire se qui ci sia qualche piatto
tradizionale per l'occasione e con quale liquido si proceda ai brindisi
si rito. Colgo l'occasione per rallegrami per la fine del fottuto bisesto
con gli eventuali lettori e ringraziare in anticipo per la sveglia che
mi sarà senz'altro data domattina alle 6 dai messaggi di auguri che
immancabilmente mi verranno spediti a quell'ora non tenendo conto della
differenza di fuso orario. Ma i fumi dell'alcol fanno di questi scherzi
e io, che sarò incredibilmente sobrio, apprezzerò perché sarà il
momento di rimettersi nuovamente in moto e montare sul treno: prossima
tappa Yogyakarta, la capitale culturale di Giava, dove in quanto a bellezze e cose da vedere si va a colpo sicuro!
Nessun commento:
Posta un commento