domenica 7 dicembre 2008

I timori del Leone


Marlion
SINGAPORE - A prima vista, quello che dal mio arrivo qui vedevo scorrere sugli schermi TV nelle  modernissime e deliziosamente gelide stazioni della MRT (Mass Rapid Transportation, la metropolitana locale) in attesa dei treni, sembrava essere il trailer di un film d'azione in uscita per le prossime festività natailzie: probabilmente una pellicola sul terrorismo. Poi mi sono accorto che si trattava di uno spot del governo che invita il pubblico a stare all'erta sugli oggetti sospetti lasciati nei convogli e a collaborare con le autorità. Abituato all'ipocrisia del politicamente corretto e al fumo negli occhi buonista nostrani, mi ha stupito, s'intende positivamente, la crudezza del filmato e l'esplicità del tono. Il video ha come protagonista un giovane d'aspetto anonimo ma di evidenti fattezze malesi (e dunque probabilmente islamico) che, approfittando della confusione sul metrò, “dimentrica” una borsa sotto un sedile, abbandona il treno e mentre lo osserva entrare in un tunnel estrae un cellulare e si vede il dito in primo piano pronto ad azionare il fatale collegamento... Il più delle volte il film si ferma a questo punto e prende a parlare, con tono pacato, un funzionario governativo. Mi era sempre rimasto il dubbio che si interrompesse in occasione dell'arrivo di qualche treno in stazione, finché oggi, preso dalla curiosità, ne ho lasciato passare uno e  ho constatato che continua davvero: cortometraggio la bomba, in effetti, esplode, e seguono filmati su attentati ai treni avvenuti a Londra, Madrid e Mumbai (non ancora aggiornati, questi ultimi). In una città in cui la minoranza islamica è comunque consistente e visibile, non ho notato alcuna reazione d'offesa o di fastidio, e in chi guardava lo spot ho notato semmai un atteggiamento attento, consapevole e, in qualche modo, di condivisione. Da un lato sono rimasto colpito come davanti a una minaccia grave qui non ci si nasconda dietro a un dito. In sostanza il messaggio è: questi banditi fanno stragi in giro per il mondo e ci minacciano direttamente proprio perché siamo una società multietnica e multireligiosa che funziona. Bisogna aver paura di questa gente perché ci detesta proprio per quello che siamo, quindi teniamo gli occhi aperti e collaboriamo. Dall'altro mi ha fatto riflettere sul melting pot di Singapore. La città del leone (singa in malese) è, come detto, a maggioranza cinese, e cinese, di formazione inglese, è stata la sua guida: Lee Kuan Yew, ininterrottamente primo ministro dal 1959 al 1990, seguito dal fido Goh Chok Tong (ora Ministro Senior) a cui nel 2004 è succeduto il figlio Lee Hsien Loong per riprendere la dynasty. Il patriarca, 85 anni, si è riservato la carica di Ministro Mentore. Lee Kuan Yew era stato tra i fondatori, nel 1954, e primo segretario, del partito socialista PAP (partito d'azione popolare), che aveva al suo interno anche una componente comunista. Le sue due linee guida: industrializzazione a tappe forzate tramite intervento massiccio dello Stato nelle infrastrutture e politica della casa. Si può rimanere inorriditi davanti agli alveari di 30-40 piani che incombono ovunque (anche se in un Paese dove si sono costruire "le Vele' e lo ZEN è meglio tacere) ma Singapore ha dalla metà degli Anni 90 la più alta percentuale di proprietari di casa al mondo, e una delle piu basse di criminalità. Quanto alla rete infarstrutturale, dalle strade al porto ai servizi, il futuro è già qui. Insomma: pugno di ferro in guanto di velluto, niente di diverso rispetto a quanto sarebbe successo in Cina negli ultimi 15 anni ma senza avere avuto una Tien Anmen. Dall'altro lato, massima attenzione all'integrazione etnica e religiosa, ben memori del fatto che la stessa indipendenza di Singapore è avvenuta per motivi razziali: nel 1965, infatti, era stata espulsa (non certo controvoglia, peraltro) dalla giovane Federazione Malese, con cui i rapporti sono sempre rimasti tesi, perché poco omogenea essendo a maggioranza cinese. Massima quindi la libertà religiosa e culturale le cui manifestazioni vengono incoraggiate in ogni modo, e quattro le lingue ufficiali dello Stato: malese, tamil, cinese inglese. Ed è proprio questa la lingua franca tra le diverse etnie, dal 1987 promossa a prima lingua per tutti nelle scuole di ogni ordine e grado. Dal 2000, poi, è stata lanciata la campagna governativa “Speak Good English”, per migliorarne lo standard. E sicuramente qui si parla il migliore inglese di tutta l'Asia, salvo forse che a Hong Kong. In realtà le comunità convivono ma tendono a non fondersi e sono abbastanza atomizzate anche al loro interno, a cominciare da quella cinese: la provenienza dalle diverse province del colosso di terraferma è resa evidente negli “Hawker Stalls”, ossia nella gastronomia: hokkien, teochew, hakka, cantonese, e non a caso il governo ha lanciato la “Speak Mandarin Campaign” sulla falsariga di quella per l'inglese. Astuti, previdenti e realisti, i “Leoni” si portano avanti tenendo presente chi comanda a Pechino. Rischia così di perdersi la cultura dei “perenankas”, tipica di Singapore. Il termine significa “mezza-casta” in malese e di riferisce ai discendenti di un uomo cinese e di una donna malese (anche se esistono, ma meno numerosi, casi di peranankas arabi, ebrei o indiani), per cui i figli hanno ereditato il nome e la religione dei padri e usi, costumi e lingua dalla madre, con mescolanze audaci nell'idioma e di grande successo nella gastronomia. Ma per preservare l'armonia e la multietnicità, l'occhiuto governo locale garantisce comunque il suo appoggio alle organizzazioni che sono nate per preservarne le tradizioni e peculiarità. 

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