La porta di Sumatra
MEDAN (SUMATRA) – Capoluogo
di Sumatra Nord, coi suoi due milioni di abitanti la maggiore realtà
urbana della più grande isola dell'Indonesia nonché terza del Paese per
numero di abitanti, Medan è una città brutta, dove c'è ben poco da
vedere, convulsa, con un traffico caotico e una viabilità insensata, che
però compensa questi suoi difetti con le gentilezza, disponibilità e
simpatia dei suoi abitanti, la vivacità, la varietà dei commerci e delle
attività artigianali, il viavai continuo e incessante di persone
indaffarate e in moto perpetuo. E' una sensazione che si ha in qualsiasi
agglomerato umano del SudEst asiatico: ci si domanda sempre dove
accidenti stia andando tutta questa marea di gente, e a fare cosa a
qualsiasi ora del giorno e spesso anche della notte, e ci si
dimentica volentieri della densità demografica di queste realtà. Eppure
Medan non dà un senso di soffocamento: le strade sono ampie e le
direttrici principali dotate anche di triple corsie, gli edifici hanno
prevalentemente meno di tre piani, non c'è il consueto assembramento di
grattacieli insensati e anche i centri commerciali che sorgono come
funghi, insieme ai MacDonalds e ai Kentucky Fried Cicken, in barba al
rigorismo e antiamericanismo di stampo islamico, hanno dimensioni umane.
L'attraversa il fiume Deli che per buona sorte, opportunamente
canalizzato, quasi non si vede, e nella parte occidentale al di là di
esso si sviluppa il quartiere benestante di Polonia: tutto bene, se non
che l'aeroporto, alquanto trafficato, vi
si trovi nel bel mezzo, a due chilometri dal centro della città. Gli
aerei in fase di decollo passano a un centinaio di metri sopra la testa,
e forse è questa la ragione per cui non sono stati costruiti
grattacieli. A parte la Grande Moschea, curiosamente edificata in stile
maroccchino e dotata di inconsuete cupole nere, commissionata dal sultano di Deli all'inizio del Novecento, l'unico monumento che merita una visita è l'Istan (palazzo) Maimun
poco distante, sempre costruito su disposizione del sultano. Vi si
trova anche l'unico spazio verde oltre a quel poco che è rimasto nella
piazza principale, dedicata anche qui all'Indipendenza (un po' come in
Argentina dove vengono intitolate al generale San Martin!). Provenendo
dalla Malaysia penisnulare (di ieri la traversata: 6 ore su un
catamarano “veloce”, dello Stretto di Malacca da Penang, quello
infestato dai pirati) le differenze si colgono a prima vista: il livello
di vita è più basso e soprattutto qui c'è ancora quella miseria nera
che sul continente può dirsi debellata. La strada dal porto di Belawan
in città è costeggiata da una bidonville quasi ininterrotta:
baracche di legno o compensato, spesso su palafitte piantate in stagni
ripugnanti e canali di acqua putrida, che viene utilizzata per
l'irrigazione come per l'alimentazione e come scolo, e dove sguazzano
bimbetti nudi insieme a ratti ben pasciuti, in confronto alle quali le favelas brasiliane sono ardite opere in muratura dotate di tutti i comfort.
Forse solo in Cambogia ho visto qualcosa di simile ma non in questa
estensione: lì però ci sono stati decenni di guerre culminate nelle
deportazioni e nelle decimazioni dei Khmer Rossi, al culmine del delirio
ideologico di Pol Pot e dei demiurghi dell'Uomo Nuovo perfettamente
comunista. Vero che Sumatra è spesso colpita da catastrofi naturali
colossali: eruzioni di vulcani, alluvioni devastanti, e basta ricordare
la combinazione tra terremoto a 9 gradi della scala Richter e tsunami
che si abbattè sul Nord dell'isola, colpendo soprattutto lo Stato di
Aceh, proprio il giorno dopo Natale di quattro anni fa: sciagure che
causarono la morte di oltre 170 mila persone e spazzarono via tutto per
decine di chilometri lungo la costa occidentale. Questo significa che,
aiuti umanitari a parte, tutt'ora in corso e gestiti dalle
organizzazioni internazionali, gli interventi governativi sono volti
principalmente a tamponare le situazioni d'emergenza: se a ciò si
aggiunge la tendenza storicamente accentratrice e Giava-centrica del
governo indonesiano, si comprende come gli interventi strutturali siano
lontani dall'essere intrapresi o solo immaginati. Senza dimenticare le
dimensioni in cui si opera: Sumatra è l'isola più grande del mondo, con i
suoi oltre 473 mila chilometri quadrati poco più piccola della Francia,
tagliata a metà dall'Equatore, estremamente variegata e
abitata da 40 milioni di persone, e nonostante questo una delle zone a
minor densità demografica dell'Indonesia, che ne totalizza circa 250
milioni, più di metà concentrate sull'isola di Giava, in una superficie
che è un terzo rispetto a quella di Sumatra. Quando si considera
l'ordine di grandezza e gravità dei problemi da
queste parti, ci si rende anche conto della complessità e difficoltà
nell'affrontarli, nonché della meschineria di quelli di casa nostra.
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