KUALA TERENGGANU - Prima
che venissero realizzati i collegamenti stradali con Kuala Lumpur e con
la costa occidentale della Malesia, che si raggiunge in una sgroppata
di 8 ore e mezzo di bus con un solo pit stop igienico,
in mancanza di servizi a bordo, il Terengganu, insieme al confinante
Kalentan, che occupa la parte settentrionale della Malesia peninsulare,
era la regione più isolata del Paese. E anche la più arretrata, finché i
proventi del petrolio non hanno cambiato la faccia di questo sultanato
(perché, ricordo, la Malaysia è una federazione di Stati, anzi: di nove
sultanati, che godono di un largo margine di autonomia). Nel caso della
capitale, Kuala Terengganu, con inserimenti architettonici discutibili e
spesso raffazzonati e un piano viario (non oso chiamarlo urbanistico)
demenziale, capace di rendere parossistica la confusione già esistente
in natura. Eppure la posizione sarebbe invidiabile, ai piedi di un
promontorio che si affaccia sul Mar Cinese Meridionale da un lato e la
foce del fiume omonimo: in cima alla collina i resti di un forte che
risale a metà '800, periodo di guerre feroci tra sultanati rivali. Di
fronte, l'isola di Pulau Duyung, dove le attività principali del kumpung
(villaggio) continuano ad essere la pesca e la costruzione di barche di
tipo tradizionale. L'acqua, ahimé, è di aspetto alquanto melmoso,
qualche relitto che spunta qua e là, all'orizzonte delle ciminiere e
alcuni cantieri: non proprio invitante. A parte la mancanza di punti di
riferimento, a peggiorare la situazione nell'orientarsi, i nomi delle
strade che si assomigliano tutti: Sulaiman, Ibrahim, Ismail, Ahmed,
Mohammed, tutti Sultan, che compiono, se non bastasse, circonvoluzioni
senza senso o, a volte, si interrompono all'improvviso. Le indicazioni,
come le strisce pedonali sono dei semplici optional,
pensate solo per gli automobilisti, e non aiuta neppure l'uso dei
caratteri latini nella lingua malese. Ho macinato chilometri, in cerca
di un luogo di ristoro segnalato sul lungomare, in una città che avrà sì
e no centomila abitanti e di cui conosco ormai ogni edificio.
Naturalmente non l'ho trovato, come nemmeno un lungomare degno di questo
nome. Per nutrirmi ho dovuto tornare nella piccolae compatta Chinatown
locale, naturalmente posta nel luogo più strategico, tra foce del fiume
e mare, che alla fine è sempre il luogo più autentico, organizzato,
genuino e affidabile. E stranamente ordinato e pulito: non che il resto
della città sia sporco, ma tende a essere trascurato e sciatto e dà una
sensazione di qualcosa di irrisolto. Sarà una cosiderazione banale, ma
mi vengono sempre in mente le parole di mio padre ancora quarant'anni
fa, che ripeteva sempre che è coi cinesi che bisognava prima o poi fare i
conti, altro che russi e americani. E lui li aveva conosciuti negli
anni Trenta, a casa loro, girando il modo sulle navi. Il tempo è
abbastanza clemente: una sola spruzzata di pioggia all'alba e per il
resto della giornata sereno alternato a nuvole, con una continua brezza
assai gradevole. In piena stagione monsonica non è male per viaggiare:
ed è così da quattro giorni. Questo non impedisce a zanzare e mosquitos
di essere fastidiosi: si sentono ma non si vedono. Ce ne si accorge
quando hanno già operato. A dispetto dei cartelli che si vedono un po'
ovunque sulle norme da tenere per evitare il dengue, in albergo perfino
la raccomandazione di tenere sempre ben chiusa la porta del bagno,
crateri nei marciapiedi che favoriscono l'accumulo di acqua stagnante,
canali di scolo che non fanno il loro lavoro, improvvisi spazi incolti
con pozzanghere che si trasformano in acquitrini sembrano essere il
luogo ideale di sviluppo per queste micidiali zanzare tipicamente
urbane. Alla fine, abbastanza deludente questa città che passa per
essere una roccaforte della cultura tradizionale, di cui ho visto poco
salvo alcune belle botteghe artigianali di batik e
una diffusione di zuccotti e veli maggiore che a Malacca, ma senza
alcun eccesso in senso integralista, salvo una scritta inneggiante a
Osama. E domani si va nella “città islamica” per eccellenza, come si
definisce Kota Bharu, la capitale del Kelantan, la regione più
settentrionale della Malaysia, che confina con la Thailandia.
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