venerdì 2 novembre 2007
Mesopotamia
PARANÁ - Dopo essere transitato in
posti dai nomi trascendenti come (Virgen del) Rosario e Santa Fé
(de la Vera Cruz) ritenevo di essere ormai pronto a un incontro
personale con l'Immacolata o con una delle tre manifestazioni della
divinità, magari lo Spirito Santo, il quale deve essersi scordato di
spargere i suoi raggi su di me perché mi illuminassero al momento della
nascita, e invece grazie alla mia insaziabile curiosità mi ritrovo
malauguratamente a Paraná, capitale della Provinca di Entre Rios (tra i fiumi,
come si intuisce: il Paraná che scorre qui sul versante occiddentale e
l'Uruguay su quello che confina con la "Provincia Oriental", la
Repubblica che dal fiume prende il nome), che per un qualche insondabile
motivo si autodefinisce capital entreterriana. Misteri
mesopotamici di questa città che, rispetto alle due che l'hanno
preceduta (Buenos Aires è ovviamente fuori categoria) è di una tristezza
infinita, che ricorda un qualche capoluogo di provincia del'Est
europeo, romeno e slovacco, catapultato nell'altro emisfero e sul
continente americano. A parte quattro isolati intorno alla piazza
centrale, questa volta dedicata al 1º maggio (non inteso come festa dei
lavoratori ma come data che ha a che vedere con l'Indipendenza del
Paese) e l'isola pedonale San Martín dedicata allo shopping (con i
negozi incredibilmente chiusi all'ora della pausa-pranzo) regna il
deserto e lo squallore. Scarsi i bar aperti, e un paio di essi talmente
glaciali e anodini da poter essere immaginati in un qualsiasi aeroporto
del globo. Non un posto simpatico dove fare uno spuntino, nemmeno
attorno al cosiddetto e decantato "Mercado Central" (dove alle 13.30 in
giro c'erano solo un paio di venditori ambulanti di fragole), e io provo
subito un avversione implacabile per i posti dove non riesco a mettere
qualcosa sotto i denti che non sia un hot dog o, peggio, un hamburger di MerDonalds
(quello sì, ubiquo). Per fortuna ci sono i "Ciber", dove si trovano
connessioni internet rapide e a basso costo e qualche bevanda fresca. In
verità ero stato preavvertito che si tratta di una città sonnolenta, ma
non mi immaginavo fino a questo punto. Dicono che nei fine settimana
peggiori ancora. Ma il mortorio non può avere a che fare soltanto con la
frequentazione massiccia dei balnearios da
parte di una cittadinanza evidentemente ammorbata dalla noia già di suo,
poiché quella di oggi, col cielo rannuvolato, non sembra esattamente
una gran giornata da abbronzature triestino-californiane; deve
essere congenito alle caratteristiche del luogo. Intanto la città non è
poi così direttamente dirimpettaia di Santa Fé perché ne dista una
quarantina di chilometri. Vero che si trova dall'altro lato del Paraná,
ma in questo tratto il fiume si divide in più rami: in realtà forma un
vero e proprio delta che si estende per quasi trecento chilometri verso
Sud fino a formare, quando fonde le sue acque limacciose con il Rio
Uruguay, il Rio de la Plata su cui sorge la Capital Federal, la Perla
(o Reína) del Plata. Poi possiede un'altra caratteristica che la rende
unica in questa parte dell'Argentina altrimenti piatta come un tavolo da
biliardo: si estende su una serie di alture (loro le chiamano colline:
ma anche per i belgi le Ardenne sono delle montagne) che si affacciano
sul fiume, che peraltro dal centro, che coincide con la sommità, non si
intravvede nemmeno. Non mi rimane dunque che "scendere" ancora di
qualche cuadra, affamato e assetato, andare a rimirare
le fantastiche offerte della Costanera e sperare di intercettare in
fretta un taxi che mi riporti gentilmente al terminal dei bus per
rientrare lestamente a Santa Fé, nella civiltà. La fame è una
brutta cosa, cari miei , e mi rende nervoso! E sono due giorni ormai che
non riesco a intercettare una parrilla che mi soddisfi per davvero!
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