martedì 13 novembre 2007
Poveri, ma belli
ASÚNCION - Pur
provenendo dal Chaco argentino, una delle Provincie più povere del
Paese, la prima impressione che si ha entrando in Paraguay è di
ritrovarsi proiettati all'indietro di una quarantina d'anni. E questo
nella capitale, perché la situazione che mi ricordo di aver riscontrato
nei pressi di Encarnación, di fronte a Posadas, in occasione di una
visita alle missioni gesuitiche (la più importante e meglio conservata
quella di Trinidad) tre anni fa, nella campagna profonda, era di una
arretratezza molto più accentuata. Il tutto dovuto alla storia di questo
Paese, molto diversa da quella dei cugini rioplatensi e anche da quella
degli altri confinanti. A cominciare dalla sua colonizzazione: i guaraní,
il gruppo etnico predominante nella zona di Asunción (fondata nel 1537
dopo un tentativo andato a vuoto di stabilire una colonia permanente a
Buenos Aires da parte delle truppe di Pedro de Mendoza), erano
concilianti nei confronti degli spagnoli, alleandosi con essi contro le
popolazioni nemiche che abitavano il Chaco profondo. In più, erano
stanziali ma non radicati come le popolazioni andine con cui i
colonizzatori ebbero a che fare sugli altipiani, ragione per cui
spagnoli e guaraní si fusero, e questo produsse in breve tempo
una società ibrida, caratterizzata da un'assimilazione culturale
reciproca, in cui gli spagnoli svolsero il ruolo prima di capifamiglia, e
poi quello politico dominante, ma senza sopraffazioni. Questo si
riflette sia nella lingua: in Paraguay sono ufficali entrambe le lingue,
che si sono influenzate a vicenda nella parlata comune, e anche le
classi alte parlano guaranì; sia nella morfologia della pololazione
attuale, in cui la maggioranza è così meticciata da poter quasi parlare
di un'etnia a parte. E' anche vero che i guaraní sono più chiari e hanno lineamenti meno marcati delle popolazioni quechua o aymara delle
zone andine, per cui il risultato medio è di persone con la pelle color
del tè poco carico e in buona parte con gli occhi chiari, spesso
verdi, davvero fuori dal comune. Degli europei addolciti, diciamo, o dei
guarani europeizzati. Alti, ben porporzionati, a mio parere una
popolazione mediamente bella. Un altro quarto della popolazione è
diretta discendente degli immigrati eruopei dalle ultime decadi dell'800
in poi, parecchi gli italiani anche qui. Ci sono anche molti tedeschi,
ma è una scioccheza affermare che siano tutti nazisti, come vuole il
luogo comune. Anzi: l'immigrazione più massiccia fu quella dei mennoniti
(una setta evangelica) nei primi anni Trenta, che andarono a
colonizzare le zone più remote, spesso in conflitto con le tribù indie
meno sviluppate (e non altrettanto tolleranti dei guaraní di
500 anni fa). In un Paese dalla tradizione dispotica, più che
autoritaria, chiaro che con l'ascesa al potere nel 1954 del generale
Alfredo Stroessner, che detenne il potere assoluto fino al 1989, anche
gli ultimi resti della diaspora nazista abbia trovato una facile
ospitalità. Un altro aspetto che distingue il Paraguay dai suoi vicini è
l'isolamento, determinato da motivi geografici ma anche da una spiccata
tendenza all'autarchia. L'indipendenza, nel 1811, venne dichiarata
nella sostanziale indifferenza della Spagna, per cui questo territorio
risultava insignificante da un puntio di vista strategico ed
economico. Il risultato fu una prima dittatura, di fatto, dal 1814 al
1840 del Presidente Francia, che governò con lo pseudonimo di El Supremo:
e non è uno scherzo. Conscio del fatto che il Paraguay non potesse
competere coi vicini, sigillò di fatto il Paese, e promosse l'autarchia,
ossia un'economia di sussistenza dove non esisteva, di fatto, il
denaro. Caso unico in America Latina, espropriò le terre dei
latifondisti, dei mercanti e perfino della chiesa, facendo dello Stato
il massimo (perché unico) soggetto economico, poiché l'eccedenza dei
prodotti agricoli era sotto suo totale controllo. Una società comunista ante litteram
e di cui Karl Marx probabilmente nemmeno conosceva l'esistenza (e se
sì, non l'avrebbe neanche presa in considerazione, deridendola), basata
ovviamente su un potere dittatoriale. Come la storia ha puntualmente e
ampiamente dimostrato, non si da una cosa senza l'altra. Dopo Francia,
la dinastia Lopez. Il primo, Carlos Antonio, con le riserve statali
accumulate da Francia promosse l'apertura all'esterno del Paese
costruendo ferrovie (in Argentina, Cile e Bolivia se ne incaricarono gli
inglesi, per motivi comerciali), fonderie, cantieri navali e perfino un
telegrafo. Soprattutto organizzò un potente esercito, col quale il
successore, il figlio Francisco Solano, andò alla guerra nel 1870 contro
la Triplice Alleanza di Argentina, Brasile e Uruguay, perdendo 150.000
km quadrati, un terzo del territorio, e anche la maggior parte della
popolazione attiva di sesso maschile. Come se non bastasse questo colpo,
da cui il Paraguay non si è mai ripreso del tutto, nel 1932 la storia
si ripetè con la guerra del Chaco contro la Bolivia, chiusa senza
vincitori tre anni dopo e con l'assegnazione di tre quarti di questo
territorio di fatto senza controllo al Paraguay. Mai chiaro il motivo di
questa guerra, coi paraguaiani che sostenevano la colonizzazione del
Chaco da parte dei mennoniti tedeschi e i boliviani che avevano alle
spalle dei petrolieri statunitensi. Dal 1954, la dittatura di
Stroessner, come ricordato, caduta la quale, grazie a un altro colpo di
Stato militare, nell'Anno di Grazia 1989, la situazione è cambiata
rispetto alla libertà di stampa ed espressione, ma non rispetto alla
sostanza del potere, sempre saldamente nelle mani del Partido Colorado e
dell'entourage di Stroessner. Ma veniamo ad Asunción, la
capitale, che conta solo 500 mila abitanti (poco più di Resistencia, per
intenderci, e meno della metà di Montevideo) e che sembra languire
sulla sponda orientale del Paraná, da sempre l'unico porto del Paese.
Caso anche questo unico dn quatsa partye di mondo, in Paraguay (poco più
di 5 milioni di abitanti) solo il 50% della popolazione vive in città,
contro l'82% circa di Argentina e Uruguay. Costruita su un promontorio
che da sul fiume, la città ha la consueta pianta a griglia, resa però
irregolare e finalmente un po' meno banale dalla conformazione del
terreno, con salite e discese, comunque dolci. Non si può dire che la
città sia del tutto brutta: ci sono, a macchie di leopardo, palazzi
coloniali intreressanti, anche se spesso in rovina. Il palazzo
presidenziale, che a me ricorda non so perché il castello di Miramare a
Trieste, però in versione candida: sarà perché l'associo a una
bomboniera, a uno scherzo kitsch, ad esempio, da sul fiume che quasi non
si vede perché appena sotto la balaustra del vicino belvedere (la
discesa verso il fiume è chiusa ben prima del tramonto da un'inferriata)
si estende un agglomerato di baracche e un viluppo di piante che
impedisce qualsiasi vista. Di fronte all'entrata del palazzo, un paio di
case in stile coloniale ridipinte alla meno peggio con colori
squillanti, e un altro paio decrepite e cadenti. Questo vale per tutto
il resto della città, a parte i quartieri-bene che si estendono a
Nord-Est. Anche questi non poi un granché: pure nelle avenidas alberate,
da cui si dipartono vie ancora pavimentate a porfido e con villette
prevalentemente a due piani assolutamente disomogenee (per fortuna: se
no saremmo negi USA), i marciapiedi sono pieni di crateri e voragini
come nemmeno quelli di Sarajevo dopo quasi quattro anni di assedio.
Questo delle "veredas" è un angoscoso problema di tutta l'America
Latina, ma che infastidisce ancora di più nei Paesi del Plata dove la
loro pavimentazione originale è anche particolarmente gradevole. Alcuni
grattacieli che sembrano costruiti con il carton-gesso, scrostati e
semicadenti in stile oserei dire sovietico, negozi abbastanza squallidi,
musei pochi e miseri, praticamente non si sa cosa fare. Colpisce la
carenza di bar e di ristoranti almeno in centro (che si svuota col
buio). In compenso, nelle poche "chopperie" (birrerie) aperte, ottima la
birra alla spina, e qui la mano dei tedeschi si nota, come nella cucina
che propone wuerstel, perfino nella versione bianca, e crauti fatti in
casa, maiale affumicato e financo il celebre Eisbein berlinese. Eisbein
a cui, per la cronaca, per la mia innata curiosità nonché golosità, non
sono riuscito a rinunciare nemmeno con 30 gradi all'ombra. Al
ristorante Munich: che è come mangiare la cassoeula o l'ossobuco con risotto da Giggi er carrettiere a Porta Metronia. Ma non ci sono solo influenze tedesche, nella gastronomia locale: anche i guaraní fanno la loro parte, ad esempio con le chipas,
che sono delle specie di arancini con ripieni diversi (quello classico è
di carne tritata e verdura) ma con l'impasto di mais anziché di riso e
passati in forno invece che fritti. Quelli di Doña Chipa, un baracchino
in pieno centro dove ho pranzato su uno sgabello, erano strepitosi. Il
cambio è di 6000 guaraní per un euro, una prestazione peggiore perfino
della nostra beneamata liretta: perlomeno non si deve fare incetta di
spiccioli in moneta come in Argentina, e si ha la soddisfazione
di tirare fuori rotoli di banconote (in realtà malconce e bisunte: fanno
venire in mente i capelli di Gianni De Michelis, anche se sarebbero
graficamente niente male) ogni volta che si paga qualcosa, come ai tempi
della Chicago anni Trenta. Come accennato i paraguaiani portano in giro
la loro povertà con molta eleganza e dignità, e la compensano con la
bellezza dei tratti e la mitezza del carattere. A differenza di coloro
che li hanno prevalentemente governati. Peccato che sembrano aver preso
lezioni di guida dai vicini argentini: conducono qualsiasi automezzo
come dei criminali, soprattutto in città: semafori e strisce pedonali
sono considerati puri elementi decorativi o di arredo urbano, tuttalpiù
percepiti come delle provocazioni. I pedoni che si avventurassero da
queste parti sono avvertiti, gli automobilisti normali, anche!
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