mercoledì 21 novembre 2007
Favelados
FLORIANÓPOLIS -
Fin dalla prima volta in cui ho messo piede in Brasile, e in America
Latina in generale, mi sono sempre chiesto se da queste parti, oltre
allo stato di miseria e necessità che spingeva i migranti dalle campagne
nelle città a risolvere in maniera precaria le proprie necessità
abitative, ci fosse anche una certa predisposizione a costruire le
baraccopoli in una maniera invece che in un'altra; l'esistenza, cioè, di
una qualche estetica della favela; nonché la tendenza a renderle definitive, quasi una forma mentis, e quindi un'etica. Sull'argomento in generale segnalo, a chi fosse interessato, i lavori di Mike Davis,
urbanista statunitense, autorità mondiale nella materia, in particolare
"Il pianeta degli slum", 2006; e "Città morte. Storie di inferno
metropolitano", 2004: entrambi editi da Feltrinelli. Parlando
di favelas, vengono ovviamente in mente quelle di Rio, che sono
conosciute in tutto il mondo. Si sa che hanno occupato man mano tutti i
morros (rilievi) liberi, a ridosso dei quartieri centrali che si
estendono in prevalenza sul lungomare, e si sono sviluppati dal basso
verso l'alto, e tutte con un'erta come spina dorsale, dalle pendenze del
45 de non 55 per cento, robe da muli o da cremagliera. Forse anche per
creare un canale di scolo per i liquami, ma con l'inevitabile coseguenza
che in occasione di un fortunale tropicale più intenso del solito,
spesso vengono giù rioni interi a causa sia del tipo di costruzioni sia
del terreno franoso. La stessa struttura si osserva a Caracas, Bogotá e
La Paz, dove sono le baraccoli a dominare dall'alto il centro e i
quartieri di classe media o alta. Sono tutte città che hanno una
conformazione per certi aspetti simile, con alture vicine se non
all'interno dell'area urbana. Ma l'idea di una predisposizione mi è
venuta osservando il modo di costruire qui sull'isola di Santa Catarina,
dove problemi abitativi non ce ne sono e quindi nemmeno baracche,
eppure sembra che abbiano il vizio di occupare ogni collinetta sempre
con lo stesso schema, alle spalle della città e ovunque si presenti
l'occasione, partendo dal basso e sviluppando la mulattiera in
verticale. Parlo di case nuove, villette anche graziose, spesso
sostenute da imapalcature a palafitta. Mi è tornato alla mente che molti
abitanti di quest'isola sono originari delle Azzorre, che se ricordo
bene sono isole piuttosto scoscese in mezzo all'Atlantico, e lì questo
modo di costruire è una necessità. Forse a Floripa e dintorni è
rimasto nei geni. In Europa, al contrario, le città fortificate si sono
storicamente sviuppate dall'aalto verso il basso, incorporando man mano
il contado. Si sa che a Rio le favelas occupano i punti più panoramici:
dunque anche una questione estetica? Riguardo all'altro aspetto, la
tendenza a renderle definitive, mi viene in mente quanto mi raccontavano
in Venezuela, dove nei primi anni Ottanta, in occasone della prima
visita di Woityla nel Paese, aveva il governo aveva costruito interi
quartieri di residenze popolari più che dignitose, per cercare di
sgomberare almeno il "rancho" più mostruoso e pericoloso (oltre che
pericolante), Catia, i cui assegnatari hanno subito
subaffittato o rivenduto gli appartamenti, preferendo rimanere nel
ghetto. E' evidente che alla base delle baraccopoli vi sia la povertà,
l'emarginazione, e la contemporanea incapacità quando non la scelta del
potere di non intervenire. Vero anche che diventano veri e propri
micocososmi dominati dalla criminalità, totalmente fuori dal controllo
dello Stato, come del resto interi quartieri e città nel Napoletano in
mano alla camorra, che oltre ad essere teatro di guerre per bande,
centrali di spaccio e di ogni altro genere di attività delinquenziale,
si reggono su una struttura illegale (che fa sempre capo alle stesse
mafie) anche per le attività e servizi "regolari", dai trasporti
all'approvigionamento di gas e luce, al commercio. E chi le ha in mano
non ha nessun interesse a mollare. Dicono che a Rio alcuni dei più
ricchi dela città vivano a Rocinha o Cantagalo, quelle più note, dove è
possibile perfino effettuare visite turistiche guidate. E qui viene da
domandarsi come sia possibile affrontare il problema. Lula, l'attuale
presidente progressista, ha deciso di fare intervenire l'esercito,
beccandosi le critiche degli ipergarantisti di sinistra, ma finora i
risultati sono scarsi. Risolvere il problema alla base, togliendo dalla
povertà intere masse di diseredati è lavoro di lungo periodo, ma
nell'immediato cosa si fa? E' un cane che si morde la coda. Intervenire
per migliorare, nella migliore tradizione buonista alla Veltroni,
rendendo più vivibili le baracche (per quanto riguarda le antenne
satellitari e i ripetitori per i cellulari, sono già ampiamente
dotate) sembra ridicolo, perché finisce per favorire i criminali che
gestiscono già tutto dovendo comunque venirci a patti. Radere al suolo e
spostare la gente a forza in nuovi quartieri o in aloggi che ne
prendano il posto? Quanti sarebero d'accordo? E dove trovare il denaro
per gli investimenti? Per non parlare dei bambini di strada, il fenomeno
forse più impressionante, di cui abbiamo avvisaglie anche in Europa,
dove l'esempio della Romania coi suoi ragazzi delle fogne è emblematico.
Rastrellarli (una parola giacché girano armati, vedi il film di
Fernando Meirelles Cidade de deus, impressionante) e farne che? Anche questo è Brasile.
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