domenica 11 novembre 2007
El Fogón de los Arrieros
RESISTENCIA - "Donde termina el sentido del humor, comienza el campo de concentración" - Ieri in tutta l'Argentina si festeggiava il Día de la tradición, cosa che ho appreso varcando l'ingresso della palazzina a due piani che ospita il Fogón de los Arrieros,
istituzione cittadina di cui avevo già parlato nel post precedente. La
ricorrenza cade nella data della nascita di José Hernandez nel 1834,
l'autore del poema epico "Martìn Fierro" che canta il coraggio,
l'indipendenza, lo stoicismo dei gauchos, celebrandone l'epopea, e
considerato uno dei classici imprescindibili della letteratura
nazionale. A parte una serie di statue completamente incongrue tra loro
sul marciapiede antistante, campeggia il cartello di divieto d'entrata
ai cacciatori e quello di benvenuti ai cani. Fernando, la mascotte a
quattro zampe di Resistencia, da Plaza 5 de Mayo veniva in trasferta
anche in Brown 350, a tre isolati di distanza, e gradiva in particolare
le esecuzioni musicali. Ad accogliermi Raúl Maderna, di origini
chiaramente lombarde, per quanto lontane, dirigente della Fondazione
(attiva dal 1968) e che faceva gli onori di casa insieme alla moglie
Maria Elena (santafesina e quindi, di rigore, d'origine piamontese). Di una gentilezza squisita: ero arrivato al Fogón per visitare il museo e bere qualcosa al bar, ignaro che fosse prevista una serata di musica: per l'occasione, un excursus fra tutti i generi tradizionali argentini, dallo scoppiettante e allegro chamamé
marchio di fabbrica di Corrientes, dall'altro lato del fiume, con
influenze guaraní oltre che brasiliane, almeno alle mie orecchie; alla cueca,
tipica delle zone del Cuyo, di Salta e Jujuy, nel Nord Ovest ma diffusa
in tutti i Paesi andini, dal Perú, alla Bolivia, al Cile; quindi la chacarera; la samba (o zamba) che non c'entra nulla con quello carioca; e naturalmente la milonga e il tango. Il
tutto suonato e cantato e talvolta ballato da interpreti sia
professionisti sia dilettanti. Poiché tutti i tavoli erano riservati, mi
hanno trovato posto su un trespolo al banco del bar (la postazione che
prediligo comunque, quando sono in perlustrazione) e Raúl ha trovato il
tempo per farmi da guida in tutta la casa. A parte la quantità di quadri
e statue di autori di tutte le province, un ammasso di oggetti strani,
reperti, modernariato, targhe scherzose, souvenir di viaggio,
fotografie, biglietti con massime, barzellette, schizzi, vecchie
bottiglie, una raccolta di tazzine da caffè rastrellate nei bar di tutta
l'Argentina, i guanti da pugilato di Carlos Monzón "manos de piedra", perfino una gallina dalle uova d'oro.
Anche i bagni sono abbelliti da quadri, fotografie, ritagli di
giornale, perfino vecchie scarpe da calcio. Ovviamente anche gli interni
sono allestiti in maniera decisamente originale, impossibile da
descrivere. Mi è venuta in mente la casa di Salvador Gaudí a Cadaqués,
ma molto più vissuta e autentica. Mi sono stati raccontati alcuni
particolari sulla storia della città e su questo posto. Innanzitutto è
vero che il primo insediamento nella zona dell'attuale Resistencia fu
una reducción gesuitica chiamata San Fernando del Rio Negro, ma
si trattava di poco più che un accampamento. La fondazione della città
viene considerata l'Arrivo dei Friulani, nella penultima decade
dell'800 (Raúl non si ricordava l'anno preciso), avventura che ha
assunto i contorni del mito: dai loro racconti, epica non è stata tanto
la traversata dell'Atlantico, e nemmeno così memorabili l'arrivo attorno
a Natale a Buenos Aires, all'inizio dell'estate australe, e la
quarantena a cui venivano sottoposti gli immigrati al "Hotel de los
Inmigrantes" nel porto della Capital Federal, oggi trasformato in museo,
ma la risalita del Paraná sui barconi per circa mille chilometri
facendosi largo anche a colpi di machete tra le piante
acquatiche e miriadi di insetti grossi come piccioni, nella stagione più
torrida, con 45 gradi all'ombra e il 100% di umidità, reali e non percepiti, era stata eroica. I pioneri del Fogón
furono invece due fratelli trasferitisi nel Chaco da Rosario nella
seconda metà degli anni Trenta, Aldo ed Efrain Boglietti, e la loro casa
divenne ben presto ritrovo di amici. Che si radunavano attorno alla
"barra" del bar come i gauchos arrieros, quelli he conducono a cavallo le mandrie al pascolo attorno al fogón, la sera, a bere e chiacchierare (una scritta dietro al bar avverte che è vietata la vendita di bevande lattee dopo le 22 ai maggiori di 18 anni). Anche il fogòn dei gauchos, peraltro, ha qualche analogia con il fogolar dei furlani.
Quando Efrain si sposò, alla guida di questo strano club ad Aldo si
aggiunse lo scultore e poeta Juan de Diós Mena, anche lui rosarino, e
nel 1943 venne fondato il Fogón. Tempio dell'amicizia,
istituzione culturale, club, è studio per gli artisti, palcoscenico per
gli attori e tribuna per dissertatori e poeti. E' tutto questo insieme,
ma in realtà realizza uno stile di vita. Basato sull'idea che l'arte è
un fattore vitale nello sviluppo della nazione e nell'affermazione della
sua identità, dal 1968 il Fogón del los arrieros è una
Fondazione con una varietà di attività che spazia dalle visite
commentate al museo, ai corsi e laboratori, alle proiezioni
cinematografiche e audiovisuali. Il tutto, fra l'altro, a prezzi
irrisori: 5 pesos (poco più di un euro) l'entrata normale, ieri
eccezionalmente 10 per lo spettacolo, mentre le consumazioni hanno i
prezzi di un qualsiasi bar e il servizio è efficiente, educato e
famigliare al contempo. Quattro ore di spettacolo senza sosta, atmosfera
davvero amichevole e per nulla forzata, persone squisite di ogni età,
gli ospiti stranieri sono particolarmente benvenuti (c'erano anche
alcuni spagnoli e due tedeschi), mi ci è voluto poco per fare un
raffronto con il nostro ambiente sedicente cultural-artistico di salottieri, puzzoni autoreferenziali, tromboni e vipperia televisionata
da strapazzo, in buona parte onanisti mentali. Ecco cosa può riservarti
una città di provincia del cosiddetto Terzo Mondo.
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